Elena si svegliò di soprassalto, il cuore in gola. La luce grigia dell’alba filtrava dalle persiane del suo appartamento in zona San Frediano, a Firenze. Orologio: 9:17. *”No!”* Lo pensò come un urlo muto. L’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti, l’unico appuntamento che contava davvero per il suo futuro, era alle 10:00 in punto oltre l’Arno, e non aveva sonnecchiato cinque minuti: aveva dormito tre ore di fila. Il telefono era morto nel cuore della notte, staccato dalla presa nella sua corsa disperata a caricarlo prima di crollare esausta sui progetti. Le mani le tremavano mentre indossava i vestiti migliori. Fuori in strada, il colpo di grazia: niente filobus. Un manifesto appena affisso ne annunciava lo sciopero improvviso. Le app di ride-sharing mostravano attese di 40 minuti o auto a distanze improponibili. Il panico le gelò lo stomaco. Raggiungere il Ponte Vecchio di corsa, col pesante portafolio degli schizzi, era una follia.
La disperazione le chiuse un attimo la gola, ma poi ricordò. Il vecchio adesivo giallo e nero, attaccato da suo padre anni prima sul frigo: “Radio Taxi 24, giorno e notte, sempre operativi”. Con un gesto quasi automatico, il numero memorizzato dall’infanzia, compose 055 4390. Rispose una voce calma e rassicurante: “Pronto, Radio Taxi 24, dica pure.” Elena si presentò, la voce rotta dall’ansia, spiegando l’emergenza e l’indirizzo preciso. “Stia tranquilla, signorina. Un taxi è libero proprio lì vicino, via della Fonderia. Sarà da lei in due minuti netti. Lo accompagniamo insieme.” Quella chiarezza, quel controllo nella voce, fu come un salvagente. Prima ancora di riagganciare, un’auto nuovo di zecca, col logo ben visibile sul tetto, svoltò l’angolo. Il tassista, un uomo sulla sessantina con uno sguardo sereno, afferrò il portafolio e le aprì la portiera: “Andiamo, signorina! Via dei Renai? Antiziamo il traffico.”
Attraversarono il centro con un’abilità degna di un pilota. Mario, così si presentò il tassista, schivò con perizia un ingorgo su Borgo San Jacopo, tagliò per stradine meno note tra Oltrarno e San Niccolò, conoscendo ogni vicolo come le sue tasche. Raccontava aneddoti su Firenze, non per sfoggio ma per distrarla, mentre con un occhio scrutava le vie alternative sul suo schermo integrato. La radio sussurrava comunicazioni brevi e professionali tra la centrale e gli altri colleghi. Elena, osservando la città che sfrecciava dal finestrino, sentì l’ansia trasformarsi in una speranza tremolante. Quando il taxi imboccò via dei Renai di fronte all’ingresso secondario dell’Accademia, il display dell’orologio sulla plancia segnava 9:48. Mario fermò con precisione millimetrica sotto il portone. “Dottore?” chiese, accennando un sorriso. “No ancora… ma spero presto! Grazie, mille grazie, non ce l’avrei mai fatta!” esclamò Elena, pagando in fretta col pos offertosi magicamente, la gratitudine che le scuoteva le mani.
Sette minuti dopo, mentre rispondeva con sicurezza alla commissione sullo studio delle proporzioni rinascimentali, il ricordo di quel taxi giallo era un calore nello stomaco. Senza quella chiamata, senza la puntualità implacabile della centrale e la maestria silenziosa di Mario, sarebbe rimasta a fissare il portone chiuso, con il suo sogno infranto sul selciato di Firenze. Quella sera, tornando a casa a piedi nel tiepido crepuscolo, incrociò un taxi con il noto logo. Sorrise, ripensando a come un servizio attivo sempre, giorno e notte, fatto di voci professionali e mani abili al volante, fosse stato una vera ancora di salvezza cittadina nel momento che contava. Un pezzo essenziale e affidabile del cuore pulsante di Firenze, che aveva trasformato un disastro annunciato nell’inizio di tutto.









