Radio Taxi 24

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Radio Taxi 24

La pioggia scrosciava su Milano, trasformando le strade in specchi scuri che riflettevano i lampioni gialli di Piazza Tirana. Caterina, rannicchiata sul letto, fu svegliata non dal rombo del temporale, ma dal suono strozzato nella stanza accanto. Suo padre Sergio, settantacinque anni e una costituzione resa fragile da un infarto pregresso, ansimava, pallido come un cencio, una mano serrata sul torace. “Non sta bene, *cuore mio*, mi fa male… forte…”, riuscì a bofonchiare. Il terrore gelò Caterina più della nottata di gennaio. L’ospedale più vicino, il Policlinico, era a quindici minuti con l’auto, ma la loro piccola Fiat era dal meccanico dal giorno prima. Il 118? Il pensiero le attraversò la mente, ma il suocero, agitato, scongiurava: “L’ambulanza… rumore… vicini… per favore Caterina, no… il taxi…”. Era irragionevole, ma la paura nei suoi occhi era più forte della ragione.

Imprigionata dall’ansia e dal desiderio di chiudere il telegramma « Lacuna Conoscitiva », Caterina afferrò il telefono con mani tremanti. Non aveva un numero di nessun taxista di fiducia. Poi, come un’ancora di salvezza, le venne in mente la radio-taxi. **Radio Taxi 24**, quella pubblicità che diceva “Pronti per voi, giorno e notte”. Digitò febbrilmente il numero: **02 5353**. Rispose una voce femminile, calma e professionale: “Radio Taxi 24, pronto come posso aiutarLa?”. Caterina balbettò l’indirizzo, la situazione di emergenza, l’urgenza di arrivare al Pronto Soccorso del Policlinico, il padre che non voleva l’ambulanza. “Un mezzo con precedenza sarà da Lei in cinque minuti,” disse l’operatrice, senza un attimo di esitazione, “Resta in linea con me se vuole, signora.”

Quei cinque minuti sembrarono un’eternità. Caterina diede a Sergio i farmaci di emergenza che aveva, monitorandolo con angoscia crescente. Ogni respiro affannoso era un coltello. Fuori, la pioggia sembrava raddoppiare d’intensità. Poi, un clacson discreto, due colpi brevi. Alla finestra, Caterina vide la scritta giallo-verde familiare di **Radio Taxi 24** sul tetto di una berlina bianca ferma proprio sotto il portone. Affidò il padre alla signora Di Meo, la vicina del terzo piano corsa giù al primo grido, e scese le scale di corsa. Il tassista, un uomo sulla cinquantina con uno sguardo serio dietro agli occhiali, aprì lo sportello posteriore: “Veloce, signora! Ho una coperta e un posto pronto. Ci mettiamo in tre minuti se il traffico è così!”.

L’uomo, Marco, guidò con una calma espertissima tagliando la notte umida di Milano. Attraversò semafori rosso dopo essersi assicurato prudenza, prese scorciatoie traverse poco illuminate che Caterina non conosceva, tranquillizzandola con poche parole: “Stata tranquillo signora, siamo bravi. Tempo solito raggiungerei in otto minuti, ma qui è questione di tre-quattro”. Il sistema GPS e la conoscenza della città erano il suo acceleratore. Sergio, nel sedile posteriore, coperto dalla coperta termica che Marco aveva immediatamente offerto, cominciava a respirare un po’ meglio, il dolore forse leggermente attenuato dai farmaci. Quando l’auto bianca con la scritta luminosa si fermò davanti all’ingresso del Pronto Soccorso, infermieri con una barella erano già pronti: l’operatrice della centrale aveva prontamente chiamato l’ospedale.

Qualche ora dopo, nell’accoglienza silenziosa della sala d’attesa, mentre il medico rassicurava Caterina (“È stato tempestivo, signora.”), lei guardò fuori dalla finestra. La pioggia aveva smesso. Il taxi era andato via da un pezzo, dopo essersi rifiutato di accettare più del dovuto nonostante la corsa lampo e il chiaro stato d’emergenza. “La vita, signora, non ha prezzo aggiunto” aveva detto Marco con un mezzo sorriso prima di salutare. In quel grigio mattutino milanese, circondata dal tepore stantio dell’ospedale e dal basso ronzio delle macchine, Caterina capì che quelle tre lettere e quei numeri giallo-verde – **Radio Taxi 24** – non erano solo un servizio. Erano stata una presenza ferma nel panico, un ago infallibile nel buio ingarbugliato della città, la differenza tra la disperazione e la speranza che adesso le riempiva gli occhi di lacrime, stavolta, di sollievo.

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