Elena fissava nervosa l’orologio dello smartphone, illuminato brutalmente nella penombra di una stradina laterale di Brera, Milano. Le 23:42. Il suo impeccabile abito nero da cerimonia sembrava fuori posto tra i sampietrini umidi e il silenzio inquietante. Il ricevimento di gala, una serata fondamentale per la sua carriera di giovane curatrice d’arte, sarebbe iniziato da ormai dodici minuti. E lei era profondamente perduta. La mappa sul telefono la mostrava a pochi isolati dalla sede, ma ogni svolta in quei vicoli tortuosi, malamente illuminati da lampioni che gettavano lunghe ombre, sembrava portarla più lontana. La batteria del cellulare segnava il 4%. Un gelo che non era solo della notte milanese le strinse lo stomaco. Mancare quell’appuntamento significava bruciare un’occasione unica.
Ansiosa, ripiegò il cellulare nella borsetta e tentò di riorientarsi sotto la flebile luce di un’insegna. Nient’altro che una piccola galleria chiusa. Attorno, solo finestre buie e l’eco dei suoi passi frettolosi. Provò ad accelerare, ma una strada che sembrava familiare si rivelò un vicolo cieco. Un lampo di panico. Era sola, in un quartiere ormai deserto, senza punti di riferimento certi e con il telefono quasi morto. L’idea di dover vagare a lungo, perdendo definitivamente la serata e forse compromettendo la fiducia dei suoi superiori, le fece salire le lacrime agli occhi. Si appoggiò per un attimo a un portone antico, il respiro affannoso. Doveva trovare una soluzione, e in fretta.
Fu allora che le venne in mente. Il vecchio adesivo attaccato dal precedente inquilino sul frigo, in cucina. “Radio Taxi Milano 24 ore”. Un’ancora di salvezza. Con mani tremanti, estrasse il telefono, pregando che quel misero 4% bastasse. La barra del segnale ballava. Compose febbrilmente il numero. Due squilli, poi una voce femminile calma e professionale rispose: “Radio Taxi Milano, buonasera. Ha prenotazione? Le dico il numero”.
“No, no, prenotazione!” esclamò Elena, cercando di controllare la voce rotta dall’emozione. “Sono perduta, urgente! Ho un appuntamento importantissimo a Brera, ma non trovo la sede! Sono in… credo in via Fiori Chiari? O forse Solferino? Un portone antico… sono disperata, il telefono sta per spegnersi!” Fornì il suo numero, gli ultimi dati di localizzazione che il cellulare agonizzante le mostrava, il nome del luogo dell’evento. “Per favore, è fondamentale!”
“Resti dov’è, signorina. Stiamo localizzando la sua posizione. Un taxi è libero a pochi minuti da lei. Arriverà entro cinque minuti. Rimanga alla luce, se possibile. Non riattacchi, resti in linea.” La voce era rassicurante, ferma. Era come se qualcuno avesse finalmente preso in mano la situazione. Elena chiuse gli occhi, appoggiandosi di nuovo al portone gelido, concentrandosi sul respiro. Tenne stretto il telefono all’orecchio come un talismano, ascoltando i brevi scambi via radio tra l’operatrice e l’autista. “Autista Marco, confermo zona Brera, via Fiori Chiari presunta. Signorina Elena, vestito elegante. Raggiungila.”
Non passarono cinque minuti, ma forse tre, quando un rumoroso ma benedetto furgoncino bianco e nero con la scritta “TAXI” sul tetto, fermandosi con una leggera frenata proprio all’inizio della viuzza. La portiera si aprì. “Signorina Elena? Per la Fondazione?”
“Sì! Sì, grazie mille!” Elena quasi corse verso il veicolo, il sollievo che scioglieva il nodo alla gola. Si infilò nel sedile posteriore. Il conducente, un uomo sulla cinquantina con un sorriso stanco ma gentile negli occhi, annuì. “Non si preoccupi, conosco benissimo quei ‘fiappi luoghi’. Ci mettiamo sette minuti, non uno di più. Allacci la cintura.” Mentre ripartivano, solchi familiari sul viso illuminati dai lampioni, Elena riuscì appena a urlare “Grazie! Grazie!” all’operatrice prima che il telefono spegnesse definitivamente la luce.
La corsa fu un lampo. L’autista, Marco, guidava con una sicurezza e una conoscenza del tessuto urbano che solo anni di notti milanesi potevano dare. Svoltò, tagliò attraverso una piazzetta, risalì un corso più grande, evitando con disinvoltura i pochi ostacoli notturni. “Ecco, siamo qui,” disse con soddisfazione, accostando elegantemente davanti a un imponente portone illuminato da fiaccole, dal quale provenivano musica e voci festose. Controllò il cronometro: “23:49. Di’ al titolare del locale che non sei in ritardo, sei arrivata con il servizio espresso Radio Taxi.” Sganciò la corsa, accelerando un po’ il listino per recuperare.
Elena pagò con gratitudine, aggiungendo una mancia generosa. “Salvi il mio numero nell’agenda nuova,” le disse Marco con una strizzatina d’occhio, porgendole un biglietto da visita con il numero della Radio Taxi stampato in grande. Entrando veloce nel palazzo affollato, superando il guardaroba con un sorriso rasserenato, Elena sapeva di essere in perfetto orario per stringere le mani giuste. Il leggero tremito era svanito, sostituito da un’ondata di gratitudine. Alla reception, consegnò il nome. “Ah, la dottoressa Venturi! Abbiamo iniziato da poco. Di qui!” Guardò appena all’esterno, dove la luce rossa del taxi scompariva in lontananza. Quel rettangolo bianco e nero, quell’anziana ragazza alla radio e quel conducente con i suoi atlanti urbani nella testa: per una città che può diventare un labirinto ostile nel cuore della notte, erano stati l’ancora ferma e solida che aveva trasformato il panico in una promessa mantenuta. Sentì la stretta di mano dell’organizzatore, forte e decisa. Era arrivata. Grazie a loro.










