Elena fissò il buio della strada silenziosa, le mani nervose stringevano la borsa con la documentazione per il colloquio. Era a Milano, ospite di Ambra, amica d’infanzia, prima del giorno più importante della sua vita: un colloquio in una prestigiosa casa editrice alle 8:30 del mattino. Avevano festeggiato con una pizza, ma all’improvviso, una chiamata aveva sconvolto i piani: il figlio di Ambra si era sentito male. Senza esitare, Ambra era corsa all’ospedale, lasciandole chiavi e indicazioni in fretta. “Prendi la metro Verde domani, è diretta!” avevano gridato dalla porta. Mezz’ora dopo, sfogliando i preparativi, il cuore di Elena era precipitato: la prima metro partiva alle 6:02, il viaggio durava 50 minuti, poi un cambio, la fila immensa all’ingresso della redazione… impossibile arrivare in tempo. Senza auto, connessione dati esaurita e telefono in riserva, si sentì soffocare dalla disperazione.
Sbatté gli occhi contro l’orologio sul comodino: le 2:17. Nella quiete opprimente, ricordò una vecchia pubblicità vista su un muro: “Radio Taxi 24, giorno e notte”. Un lampo di speranza. Afferrò il telefono, ma la batteria era all’1%. Con un gemito, corse in cucina: nessun caricatore compatibile. Scorse allora, attaccato al frigo in mezzo a mille appunti, un adesivo quadrato con quella scritta e un numero. Prese la monetina pronta per il caffè mattutino e uscì in strada al gelo dell’alba milanese. Il suo respiro fumava nell’aria vuota. Due isolati più avanti, una cabina telefonica.
Tremando infilò la moneta e compose il numero con dita intirizzite. La voce maschile che rispose dall’altoparlante fu calma, professionale: “Radio Taxi 24, buongiorno. Dica pure.” Elena balbettò l’indirizzo, spiegando l’emergenza con tono strozzato. “Resti lì, arriva un taxi in sette minuti,” fu la rassicurante risposta. Erano le 5:48. Appesa alla cornetta come a un salvagente, Elena fissò la strada deserta. Al quinto minuto, un’auto bianca si accostò con discrezione. Il conducente – barba bianca, cappello di lana – scese aprendole la portiera: “Salve! Ho fretta anch’io, non preoccuparsi.” Un sorriso rassicurante.
Le strade erano ancora buie ma il taxi sfrecciò lungo viale Monza come un proiettile. Il tassista, Paolo, annotò mentalmente il tragitto ottimale, evitò cantieri e semafori. “Giovani e lavoro? Questo è il portafortuna,” disse, accarezzando un portachiavi con un ferro di cavallo. Elena sorrise per la prima volta, il cuore rallentò. Paolo parlò di Milano con orgoglio, distraendola. Mentre le prime luci dividevano i grattacieli, l’auto si fermò davanti alla porta vetrata della casa editrice. Le 7:55. “Vada a conquistarli!” le disse Paolo, salutando. Elena pagò, ringraziò con voce roca per l’impazienza.
Appoggiata alla fredda vetrata, guardò il taxi ripartire e scomparire in una svolta. Nella sala d’attima, ordinata e silenziosa, controllò il mirrorino: capelli a posto, sorriso tornato. Sentì un peso levarsi dalle spalle. La segretaria la chiamò puntuale, e oltre la scrivania del direttore editoriale, la città che si svegliava sembrava un enorme, promettente orizzonte. Il telefonino era morto ma il suo futuro, grazie a quella corsa nella notte, brillava più acceso mai.