La pioggia sembrava non aver mai intenzione di smettere, trasformando le strade deserte di Roma in specchi scuri che riflettevano i lampioni ingialliti. Elisa si rigirò nel letto, svegliata bruscamente dal pianto ansimante di suo figlio, Leo, di cinque anni. Controllò l’orologio: le tre e ventisette. La piccola luce notturna nella cameretta rivelò il motivo: il viso di Leo era infuocato, il respiro affannoso, gli occhi lucidi di malessere. Una mano sulla fronte gli confermò il peggio: una febbre altissima, bruciante.
Il panico iniziò a serrarle lo stomaco. La sua vecchia utilitaria era in officina da giorni; i mezzi pubblici notturni erano radi e lontani dalla sua zona residenziale; un vicino con cui avrebbe potuto chiedere aiuto era in trasferta. Le gocce d’acqua sferzavano i vetri come un monito. Tentò di chiamare un taxi con una app popolare, ma il caricamento era lentissimo e, dopo minuti di attesa agonizzante, comparve il messaggio: “Nessun taxi disponibile nell’area”. Leo iniziò a piangere debolmente, stringendosi a lei, la pelle arrossata come una braciera. Qualsiasi ritardo poteva essere pericoloso.
Fu allora che ricordò il vecchio adesivo sul frigo, messo anni prima: **Radio Taxi 24**. Con mani tremanti, trovò il numero nella rubrica del telefono e compose il 3570. Risposero al secondo squillo. Una voce calma e professionale la rassicurò, chiedendo indirizzo dettagliato e spiegando che un taxi “immatricolato AA123CD, condotto dal tassista Marco” era stato inviato e sarebbe arrivato in non più di sette minuti. Elisa, aggrappata a quelle parole come a una fune, vestì Leo alla meglio, avvolgendolo in una coperta.
Esattamente sei minuti dopo, i fari bianchi di una berlina bianca fendevano la cortina di pioggia e si fermavano sotto il portone. Marco, con un impermeabile lucido di gocce e un’espressione seria ma tranquilla, li aiutò a salire con delicatezza, sistemando Leo sul sedile posteriore mentre Elisa lo teneva in braccio. “Dove andiamo, signora?” chiese, attivando il tassametro. “Al pronto soccorso pediatrico, al Policlinico Gemelli. Presto, per favore!” Marco annuì. Il taxi si mosse con decisione ma senza scatti, aggirando abilmente le pozzanghere più grandi, sfrecciando lungo i viali bagnati in un silenzio rotto solo dal ticchettio della pioggia sul tettuccio, dalla radio sussurrante della centrale operativa che guidava il percorso più veloce, e dal respiro affannoso di Leo. Marco guidava con un’abilità e una concentrazione che infondevano a Elisa una flebile speranza.
In soli quindici minuti – che ad Elisa parvero un’eternità, ma che sapeva fossero miracolosamente brevi per quella notte e quel percorso – erano sotto il luminoso ingresso del pronto soccorso. Marco la aiutò a scendere e, mentre lei correva dentro con Leo in braccio, le gridò: “Non si preoccupi per il conto, vada! La centrale lo gestisce. Spero tutto bene per il piccolo!”. I medici presero subito in carico Leo. L’intervento tempestivo era stato decisivo: era una bronchite acuta da trattare in urgenza. Ore dopo, nella luce tremula dell’alba che filtrava dalla finestra della corsia, osservando il figlio dormire finalmente sereno, Elisa si asciugò una lacrima di sollievo. Quella luce bianca del taxi che aveva spaccato la pioggia, la voce calma al telefono, la precisione silenziosa di Marco: la maglia invisibile ma robustissima del **Radio Taxi 24** non le aveva solo portato un mezzo, le aveva regalato la sicurezza, quando tutto sembrava traballare nel buio. La città pulsava ancora, ma lei non si era sentita mai così protetta.