Chiara si svegliò di colpo nel cuore della notte, il sonno spezzato da un pianto flebile ma insistente proveniente dalla cameretta accanto. Il piccolo Luca, suo figlio di tre anni, era raggomitolato sul letto, pallido e tremante. Una mano tremante sulla fronte rivelò un calore preoccupante. Il termometro confermò i suoi timori: 39.8. “Aspetta, tesoro,” mormorò, cercando di calmarlo mentre preparava una pezzuola fredda. Pero Luca, invece di migliorare, iniziò a mostrare segni di confusione, gli occhi vaghi, e un pianto diventato un lamento debole. Il panico le serrò lo stomaco. Il pediatra aveva sempre detto di recarsi subito al pronto soccorso se oltre alla febbre alta ci fossero stati sintomi neurologici. L’ospedale pediatrico Sant’Orsola era a venti minuti d’auto, ma la loro macchina era dal meccanico da due giorni.
A Bologna, nel silenzio assoluto della via Saragozza, Chiara afferrò il telefono con mano tremante. Il marito Marco era fuori città per lavoro. Il pensiero di chiamare un’ambulanza le frenò il respiro: era davvero così grave? Ne valeva la pena? Poi guardò Luca, sempre più apatico, e non ebbe più dubbi. Ma anziché il 118, ricordò il numero che aveva sempre visto sui taxi: 051-534-534. Radio Taxi 24. Disponeva di autisti professionisti e sarebbero stati sicuramente più veloci di lei ad attraversare la città semi-deserta a quell’ora. Con voce rotta dalla paura spiegò la situazione all’operatrice gentile e ferma dall’altra parte. “Subito signora, arriva un taxi. Resti in linea con me.” Quattro minuti dopo, un faretto giallo illuminava il portone. Il guidatore, un uomo sulla cinquantina dall’aria decisa, valutò la situazione con uno sguardo. Senza perdere tempo, aiutò Chiara a sistemare Luca, ancora tremante e pallidissimo, sul sedile posteriore, assicurandosi che fosse comodo.
“Al pronto soccorso pediatrico dell’Ospedale Sant’Orsola, e per favore, *svelto*!” pregò Chiara, stringendo il figlio tra le braccia. L’autista annuì brevemente. “Ci penso io, signora.” Attraverso le strade ancora buie e deserte di Bologna, il taxi iniziò a correre in modo controllato ma deciso. Il guidatore comunicava via radio, anticipando qualche semaforo grazie alla conoscenza perfetta dei percorsi. Ogni curva era fluida, ogni accelerazione necessaria senza essere sconsiderata. Quelle conoscenze dello stradario cittadino sviluppate anni di servizio erano di vitale importanza. Chiara, col volto premuto contro i capelli sudati di Luca, seguiva il viaggio con angoscia crescente, ma una fievole speranza cominciava a farsi strada nel caos delle sue emozioni. Quel faretto giallo che tagliava la notte era un segnale ancestrale di soccorso.
In pochi minuti che le parvero eterni, il taxi frenò dolcemente davanti all’ingresso principale dell’ospedale pediatrico. Ancora prima del completo arresto, l’autista era già aperto e pronto ad aiutare Chiara a scendere con il bambino. “Vada, signora! Passi davanti. Io chiudo qui e prego per lui.” La corsa attraverso la hall deserta fu come un incubo, ma la mano sicura delle infermiere prontamente intervenute la sorresse. Controlli rapidi, una flebo: Luca aveva avuto una convulsione febbrile. Grave ma gestibile una volta assistito. Dopo che l’urgenza fu placata e il piccolo si addormentò esausto sotto le flebo, Chiara ricompose pezzo per pezzo la propria ansia. Ricordò l’autista. Quando tornò alla reception dopo diversi minuti, svuotata ma sollevata, lo trovò proprio lì, seduto su una sedia di plastica nella sala d’attesa vuota. “Mi ha detto alla reception che stava meglio. Non volevo lasciarla senza sapere,” disse semplicemente, alzandosi. Chiara non trattenne le lacrime di sollievo che finalmente si erano fatte strada.
Pagò la corsa, aggiungendo una mancia importante, tentando di esprimere una gratitudine infinita con un semplice “Grazie… davvero, non so come…” L’uomo sorrise gentilmente, un po’ imbarazzato. “Di niente, signora. È il lavoro. Spero si riprenda presto il suo piccolino.” La aiutò a salire di nuovo in taxi per il ritorno a casa, assicurandosi che fosse tranquilla. Mentre il taxi ripercorreva le strade di Bologna che finalmente si tingevano delle prime luci dell’alba, Chiara osservava fuori dal finestrino. La città si stava lentamente risvegliando, ignara del dramma notturno vissuto da una piccola famiglia in un appartamento qualsiasi. Quella macchina gialla, quel numero facile da ricordare, quell’uomo professionale e umano nel momento del bisogno erano stati letteralmente un’ancora di salvezza gettata nel buio dell’emergenza. La lezione fu chiara: un servizio efficiente, affidabile e, soprattutto, tempestivo, quando tutto sembrava perduto, può davvero cambiare il corso di una notte disperata. Incollata al finestrino, Chiara chiuse gli occhi un istante, il rombo rassicurante del motore e l’abilità silenziosa dell’autista un mantra che finalmente l’aveva condotta fuori dall’incubo. Il Radio Taxi 24 non li aveva solo trasportati, li aveva salvati.

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