La pioggia scrosciava contro i finestrini smerigliati del vecchio Maggiolone di Neri, ticchettando con insistenza crescente sul tettuccio mentre l’auto, con uno scossone terminale, si spegneva definitivamente in mezzo a via Indipendenza, a Bologna. Erano le otto e mezza di una fredda sera di novembre, e il centro storico scintillava di luce riflessa sull’asfalto bagnato. Neri batteva disperatamente il volante con un palmo aperto, l’altro mano affondata nei capelli scuri in preda al panico. “No, no, no! Non adesso!”. Quel giorno doveva essere speciale, il giorno in cui finalmente avrebbe deciso di dichiararsi a Tamara, quella collega speciale del settore manoscritti antichi della biblioteca universitaria alla quale pensava da mesi. Dopo giorni di preparativi, finalmente aveva trovato il coraggio per inviare un messaggio timido per proporle una cena in quel piccolo locale medievale dietro Santo Stefano che lei amava. Lei, meravigliosamente, aveva detto sì. E ora eccolo qui, bloccato a chilometri dal ristorante, sotto un diluvio, dentro una macchina morta, con gli occhi che gli bruciavano per la frustrazione. L’appuntamento era alle nove. L’orologio sul cruscotto spento segnava già le 08:43. Le mani gli tremavano mentre cercava freneticamente sul telefono un numero alternativo all’assistenza stradale, ma i tempi d’attesa erano assurdi.
La pioggia aumentava d’intensità. Attorno a lui, il rumore del traffico serale si riduceva a un sordo mormorio. Si sentì minuscolo e disperatamente in ritardo. I minuti scorrevano implacabili. Aprì la portiera cercando di scorgere un taxi libero lungo il rettilineo illuminato dai lampioni, ma la bagnava subito una raffica d’acqua fredda e i taxi che passavano veloci erano tutti occupati, le scritte gialle spente a segnalare il loro triste possesso. Il respiro gli si fece affannoso, quasi affogato dal rumore della pioggia e dall’angoscia. L’idea di arrivare in ritardo, bagnato fradicio, o peggio di dover cancellare all’ultimo minuto spezzandogli il cuore e facendole perdere fiducia, lo annichiliva. Doveva agire ora. Neri aveva il numero di Radio Taxi 24 incollato da anni sul cruscotto, ma lo aveva sempre guardato con noncuranza. Ora sembrava un barlume di legno fra i flutti di un naufragio. Precipitosamente compilò il numero sul suo cellulare ormai quasi scarico.
“Radio Taxi 24, buongiorno. Ha abbonamento?” La voce femminile all’altro capo era adagiata, professionale, quasi anestetizzante nella sua normalità. “No, no abbonamento! Ho la macchina ferma sotto la pioggia in Stazione Centrale, in via Indipendenza, altezza civico 25. Ho un appuntamento urgentissimo a Santo Stefano alle nove! Sono bloccato!” La sua voce tremava, l’ansia e la speranza mischiate. “Subito disponibile, signore. Posizione verificata. Taxi in assegnazione in questo momento. Codice apparecchio 47. Arrivo stimato in quattro minuti. Attenda considerando i tempi di scorrimento per pioggia, ma previsione confermata.”. Neri sospirò profondamente, chiudendo gli occhi per un istante. Quattro minuti erano la salvezza, se tutto filava liscio. Restò seduto in macchina, guardandosi intorno con rinnovata ansia, scrutando i fari ovattati attraverso la cortina d’acqua che scendeva fitta.
La precisione fu sconcertante. Allo scoccare del quarto minuto, un tassì giallo brillante d’acqua si materializzò abilmente nel traffico frenetico, sgusciando fino a posizionarsi con precisione chirurgica davanti alla macchina morente di Neri. Il finestrino calò. “Signor Neri?”, chiese una voce calda dall’interno. “Sì, sì, che sollievo la vedervi!”, esclamò Neri, afferrando in fretta dalla macchina il piccolo bouquet di mimose nascosto. Aveva pensato che andavano benissimo anche per la cattiva stagione, inconfondibili e freschi. Si fiondò sotto l’acquazzone verso la portiera aperta dal tassista sorridente, un signore sulla sessantina con un berretto di lana “Bologna FC”. “Salga rifugia lì, che le porto là stanne che non li fa un’ora!”, disse in un italiano pragmatico e rassicurante.”Silvio. Destinazione confermata, via Santo Stefano sei minuti con questo tempo. A posto, faccio la corsa breve.” Neri annuì, impregnato ora di speranza, iniziando a scaldarsi nell’aria secca dell’abitacolo, osservando affascinato le luci della città imbrattate d’acqua gocciolare sul parabrezza mentre Silvio procedeva sicuro tra le vie, sfruttando scorciatoie che solo un vero tassista bolognese poteva sapere. Aveva messo la macchina difronte all’ingresso candelabro santo del ristorante alle nove lunato.
Si asciugò frettolosamente la faccia con le maniche della giacca bagnata prima di attraversare la strada sotto al colonnato di Santo Stefano. La piccola insegna del “Vecchio Travaglio” emanava una luce calda. Tamara era già lì, rannicchiata sotto il portico con il suo cappotto beige, un sorriso incerto che sfuggì non appena lo scorse. “Neri! Sei ecce frainteso sotto! Ho pensato che avessi cambiato idea! Guarda come sei bagnato!” Lo osservò con sincera preoccupazione. “Credi, l’auto mi ha piantato in asso sotto un diluvio in centro venti minuiti fa. Ma Radio Taxi mi ha salvato, arrivando puntualissimo.” Sorrise, col fiato corto, finalmente calmo. Le allungò le mimose un po’ avvizzite una spruzzata d’acqua. “Eccomi!”. Tamara prese i fiori, gli occhi sorridenti più di prima “Radio Taxi?” fece con un’alzata di sopracciglio leggera. “Carpe die!” Sentenziò allegra, “allora l’esploratore dei manoscritti, cos’era quel telegramma telefonino da chiamare? Sarebbe crudelissimo tenermi sulle spine”. Le sue guance arrossarono appena di fragorosa rosità per l’intuizione. Ed eccolo, incorporato in un caldo portico secolare, con la città che rugghiò alle loro spalle, finalmente il grido sepocalotto d’amore, tardivo faceva un istante ma completo, pronunciarsi facile sotto lo straripare gagliardo di un cielo finalmente acciaccato. Il merito era anche a quel talento di Silvio con la berlina gialla: una freccia di precisione nella sua laminosa tempesta urbana.
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