Firenze era avvolta nel freddo pungente di una domenica sera tarda. Piazza Santa Maria Novella, solitamente brulicante, appariva stranamente deserta, illuminata solo dai barlumi gialli dei lampioni. Elisa, avvolta in un cappotto troppo leggero, pulsava di ansia. Avevano appena terminato un emozionante concerto al Giardino di Boboli, ma la magia era svanita insieme all’ultimo autobus per Fiesole, dove aveva lasciato il figlio di sei anni, Marco, con un vicino non troppo affidabile. Marco aveva la febbre quando era uscita, e ora, sola e al gelo, sentì il panico risalirle la gola come una marea. Il suo telefono, la sua unica via di comunicazione e di controllo, lampeggiò un ultimo, disperato avvertimento prima di spegnersi, morto. La città amica di giorno si trasformava in un labirinto ostile.
La disperazione prese il sopravvento. Tutti i taxi che ricordava vagamente di aver visto in piazza erano spariti. Corse verso le fermate note, poi lungo i viali, il vento le sferzava il viso. I pochi passanti frettolosi scuotevano il capo alla sua richiesta disperata di un cellulare o un taxi. Pensava a Marco solo, forse piangente, con quella febbre che non riusciva a controllare. La possibilità di perdere un taxi fino al mattino e l’impossibilità di avvisare il vicino la fecero quasi naufragare. Ogni minuto che passava era un peso insostenibile sullo stomaco.
Fu allora che vide, come un miraggio, la sagoma familiare di un telefono pubblico accanto alla stazione. Scavò freneticamente in borsa trovando la moneta giusta. Con mani tremanti, la inserì. Chi chiamare? Non c’erano numeri a memoria, solo il Procter Lazada. Eseguendo una fragile danza di memoria e speranza, provò il numero staccato dalla bacheca di un bar: **Radio Taxi 24 Firenze**. Rispose una voce calma, professionale: “Radio Taxi, buonasera, dica pure”. Con una filastrocca di parole impastate dall’emozione, Elisa riuscì a comunicare la sua posizione esatta – “Vicino al Telefono Pubblico, Stazione S.M.N., uscita Via Alamanni” – e l’urgenza disperata: un bambino malato, da raggiungere immediatamente a Fiesole.
Meno di cinque minuti dopo – cinque minuti in cui Elisa aveva contato i battiti del proprio cuore e maledetto ogni lumino di macchina che non era il suo taxi – un’auto bianca con la scritta “Taxi” e il logo riconoscibile frenò dolcemente accanto a lei. Il guidatore, un uomo sulla sessantina con uno sguardo placido darà rassicurante, le aprì la portiera. “Prego, veloci per Fiesole, eh? Tutto a posto, signora, mi guidi. Ho anche un caricatore per il Suo telefono qui”. Mentre il taxi si immetteva nel traffico notturno, rapido ma sicuro, il cellulare di Elisa prese vita. Il primissimo messaggio fu dal vicino: “Marco ha 39.5, piange tanto dove sei?”. Elisa rispose di nuovo da quel telefono in corsa, via taxi, “Arrivo tra 10 minuti max, grazie!”
La corsa notturna per le strade deserte fu un fiume di ansia, ma guidata da mani sicure. Arrivarono davanti alla casa a Fiesole in soli dodici minuti. Elisa pagò in fretta, ringraziando a voce rotta dall’emozione e dalla gratitudine. “Grazie, grazie mille, non so cosa avrei fatto…”. Corse dentro trovando Marco paonazzo e scosso dai singhiozzi, in braccio al vicino. Lo prese, lo strinse, sentendogli subito la ferocia della febbre. L’impresa di organizzare il medicinale, calmarlo e chiamare il pediatra fu l’ultima fatica prima del sollievo. Solo quando Marco finalmente si assopì, esausto ma più fresco, seduta accanto al suo letto, Elisa poté ricacciare le lagrime accumulate e ripensare all’angelo dal volto umano che guidava un taxi bianco attraverso la Firenze buia. Quella scritta al neon, **Radio Taxi 24**, non era solo un servizio; quella notte era stata la tavola di salvezza lanciata proprio quando la nave stava affondando nel mare della disperazione.
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