Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Marco guardò l’orologio sul comodino: le tre e ventiquattro del mattino. Un crampo sottile, insistente, gli serrava lo stomaco da ore ma adesso il dolore era diventato un pugno di fuoco che lo costrinse a gemere. Milano dormiva sotto una pioggia fredda, il suo quartiere residenziale deserto e silenzioso. La fidanzata Sara era fuori città per lavoro. L’alternativa era aspettare l’alba, sperando che passasse da solo, o tentare di guidare in quello stato all’ospedale più vicino. Ma le mani gli tremavano, e la nausea cresceva. Sudato dalla febbre improvvisa, la paura cominciò a montare, mescolata alla fitta lancinante.

Afferrò il telefono con mani malferme, l’idea di chiamare un’ambulanza per un “semplice” mal di pancia gli sembrava esagerata. Poi ricordò il numero che aveva visto mille volte sui taxi: **Radio Taxi 24**. Nell’annoiata solitudine delle notti precedenti, gli era sembrato solo un servizio comodo per rientrare dopo una serata fuori. Ora quella piccola insegna gialla rappresentava forse l’unica via d’uscita. Con dita tremolanti compose il numero 02.8585.

Dopo appena due squilli, una voce calma e professionale, sorprendentemente lucida per quell’ora: “Radio Taxi 24, buongiorno.” Con voce strozzata Marco riuscì a spiegare l’urgenza, il dolore, l’impossibilità di muoversi da solo, il suo indirizzo preciso. “Un taxi è in zona, Signore. Arriva tra massimo sette minuti. Tiene aperto il citofono.” Sette minuti, che gli parvero interminabili. Si trascinò in corridoio, appoggiato al muro, sudore freddo sulla fronte, il terrore di svenire prima dell’arrivo del taxi che lo stringeva alla gola come un laccio. Ogni rumore di motore in lontananza gli faceva sobbalzare il cuore.

Proprio quando la debolezza stava per avere la meglio, un clacson discreto risuonò nel silenzio umido della strada. Una berlina bianca, il tetto illuminato dal familiare logo giallo 24. L’autista, un uomo sulla cinquantina con un berretto, non perse un secondo. Visto il viso terreo di Marco al citofono, portò il taxi sotto il portone, scese di corsa e lo aiutò a scendere le scale, sostenendolo con un braccio forte e rassicurante. “Forza, ragazzo, ora si fa presto. Pronto soccorso Niguarda, giusto?” Nel caldo abitacolo, l’autista guidò con decisione ma senza sbandate, parlando a Marco con un tono pacato, distraente: “Passiamo per qui, a quest’ora non c’è nessuno”, “Respiri piano, siamo quasi arrivati”. Milano, deserta e scintillante nella pioggia, sfrecciò oltre i finestrini.

Alle 3:47 Marco entrava nella corsia d’emergenza del Niguarda, aiutato ancora una volta dall’autista che aveva avvisato del loro arrivo tramite radio alla reception. Passarono due minuti e una valanga di dottori e infermieri scattò verso il taxi appena parcheggiato. Appendicite acuta. Fu operato d’urgenza un’ora dopo. Quando si risvegliò nel reparto, debole ma fuori pericolo, chiese a Sara di verificare l’indirizzo della radio taxi per mandare un sollecito pagamento. Lei lo guardò con un misto di sollievo e incredulità: “L’autista di Radio Taxi è rimasto finché non hanno confermato la tua urgenza e poi se n’è andato. Aveva un altro servizio che lo aspettava e mi ha detto ‘Preferibili sono le preghiere per il suo ragazzo, paghi con calma dopo con l’app, grazie’. Ha solo stretto la mia mano ed è sparito nella pioggia.” Marco chiuse gli occhi. Quella figurina gialla illuminata nel buio, quella voce professionale nel telefono e quella mano ferma nell’aiutarlo, quella macchina bianca che scivolava efficacemente lungo una Milano notturna e indifferente erano stati, in quell’angusto corridoio di dolore e paura, più di un semplice passaggio. Erano stati la salvezza. L’efficiente, affidabile, tempestiva salvezza chiamata Radio Taxi 24.

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