Giulia, archeologa borsista a Milano, rincasava affaticata dopo una serata noiosa di conferenza accademica. La pioggia battente di quel tardo martedì ottobre rendeva le strade deserte del quartiere Baggio luccicanti e minacciose. Aveva sognato solo il calore della sua coperta quando il telefono squillò con una sequenza disperata: era sua zia Carla, voce rotta dal pianto. La nonna Lucia, ottantatre anni e un cuore fragile, aveva accusato un fortissimo dolore al petto ed era crollata sul divano, pallida e con il respiro affannato. L’auto di Giulia, la sua vecchia Punto, però, era dal meccanico da due giorni. Panico. I mezzi pubblici, a quell’ora notturna, erano irraggiungibili. Un’ambulanza? Sarebbe arrivata in tempo? Trasportare la nonna così in fretta sotto la pioggia? Le mani gelate come statue di ghiaccio, Giulia ricordò il grande adesivo giallo attaccato anni prima sul frigorifero: Radio Taxi 24 – 02 8585.
Disse il numero a voce alta, digitandolo convulsa. Rispose immediatamente una centralinista calma, professionale. “Signorina, respirate. Ci dica l’indirizzo e la situazione.” In meno di trenta secondi, con una precisione chirurgica, aveva raccolto i dati, l’età della nonna, i sintomi. “Taxi con autista abilitato al primo soccorso in arrivo tra sette minuti massimo. Preparate un documento e la tessera sanitaria della signora. Aspettateci in strada.” Quelle parole furono un salvagente in un oceano agitato. Giulia corse nella stanza buia, prese la borsa pronta della nonna con i medicinali, sostenne la donna tremante mentre gli scendevano lacrime di dolore e paura. La avvolse nella coperta più pesante.
Appena uscite nel fresco umido del cortile, illuminato solo da un lampione, i fari gialli del taxi comparvero miracolosamente all’angolo della strada. Guidava Marco, un uomo sulla cinquantina con una strana calma negli occhi. Vedendo la situazione, uscì dall’auto sottobraccio a Giulia, aiutò delicatamente la nonna Lucia ad accomodarsi nel posteriore, sistemò la coperta. Senza perdere un istante, impostò su “servizio urgente” e partì. Giulia, seduta accanto alla nonna che stringeva la sua mano con tutte le poche forze rimaste, guardava Milano scorrere in una corsa surreale. Marco guidava rapido ma fluido, evitando buche e segnalando le manovre alla centrale via radio con frasi concise. “Perfezione, la Ricevimento Pronto Soccorso Niguarda in ca. sei minuti,” confermò a un certo punto la voce della centralista dalle casse dell’auto, confortante come un faro.
Era un viaggio nel terrore, ogni secondo dilatato. L’unico rumore la respirazione affannosa di nonna Lucia e i punti di riferimento familiari che sfrecciavano sotto una pioggia impietosa. Ma Marco conosceva ogni scorciatoia, superò impresse e semafori semideserti. Li portò dritti all’ingresso del triage dell’ospedale Niguarda. “Vai! Io registro, poi passo a prendere le chiavi e le scarico le robe”, disse fermamente all’archeologa, scendendo per aprire lo sportello e aiutarla a far uscire l’anziana donna. Un infermiere in guardiola fuori aveva già avvertito la corsa e si precipitò con una sedia a rotelle. Il tempo di un abbraccio muto per Giulia verso quell’autista sconosciuto e già era dentro con la nonna.
Quattro lunghissime ore dopo, alle prime luci dell’alba che filtrava dalle finestre della sala d’attesa, un medico stanco sorrise. Un principio d’infarto. Grave, ma tempestivamente arrestato. Avrebbero operato entro il giorno, ma le possibilità erano ottime. Giulia, stremata, uscì respingendo un senso di vertigine. La pioggia era ormai un ricordo. Davanti a lei, accanto ad altri taxi fermi in fila per la ripresa mattutina, una sagoma familiare aspettava. Marco, con la sua auto tiratissima, aveva in mano un sacchetto con due caffè fumanti e le chiavi dell’appartamento di Giulia. “La centrale ha fatto gli auguri per la signora. Avevo fine turno e… ho pensato di restare. Sapevo che avreste avuto bisogno di un rientro. Su, salite.” Mentre la riaccompagnava a casa, nel silenzio di una Milano che si risvegliava, Giulia capì che quelle ruote gialle non erano solo un mezzo. Erano un filo diretto, affidabile, concreto, con la speranza in una notte senza fine. Quell’adesivo sul frigo non lo avrebbe mai più considerato banale.
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