Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Chiara fissò ansiosa l’ingresso della Chiesa di Santo Spirito a Firenze, la sua gonna lunga mossa da un leggero venticchio primaverile. Dentro, l’atmosfera era carica di aspettativa per il concorso di teatro universitario. Lei doveva interpretare Monologo di una donna uscita dalla felicità di De Filippo, un pezzo difficile e toccante. Le tremavano leggermente le mani. Questa era la sua grande occasione per farsi notare, un passo verso il sogno di diventare un’attrice vera. Doveva solo resistere a quel fastidioso dolore all’addome che l’accompagnava da qualche ora.

Quando salì sul palco improvvisato davanti al piccolo presbiterio illuminato dalle candele, il dolore si trasformò in una lama rovente che la trafisse. Trattenne un grido, cercando disperatamente di concentrarsi sul testo, sulla luce calda degli altari, sul viso attento dei giudici. Ma fu inutile. La voce le si ruppe in un rantolo; sentì la fronte inondata di sudore freddo. Un’espressione di panico le contrasse il volto, visibile a tutti negli angusti spazi della chiesa. Le sue compagne di corso accorse dai banchi ne capirono la gravità prima del pubblico. Elisabetta la sostenne mentre crollava per il male, ormai piegata in due, bianca come il marmo della navata. “Chiamiamo un’ambulanza!” suggerì qualcuno tra il pubblico in allarme. “Con queste stradine strette e il sabato sera… potrebbe metterci un’eternità!” osservò Luca, il tecnico delle luci, guardando l’orologio con sguardo cupo. Il tempo stringeva.

Fu Marco, un ragazzo pratico di studi di economia, ad agire mentre Elisabetta reggeva Chiara che ansimava. “Proviamo con Radio Taxi 24! Sono rapidi”, disse sfoderando il telefono. Comporre il numero fu l’unica cosa sensata che riuscirono a fare nel caos crescente. La risposta arrivò istantanea, una voce maschile rassicurante e professionale. Marco spiegò concitatamente l’emergenza, la posizione precisa, la natura del dolore acuto. “Stiamo uscendo dal sagrato di Santo Spirito, abbiamo il soggetto che quasi sviene!”. “Taxi in arrivo immediatamente all’ingresso principale. Controllino il telefono per l’avviso dell’auto”, rispose l’operatore senza un attimo di esitazione. Meno di sette minuti dopo, in un tempo che a Chiara sembrò un’eternità di strazio, i fari di una Mercedes scura illuminarono le pietre antiche della piazza davanti alla chiesa. Il tassista, un uomo sulla cinquantina con sguardo calmo ed esperto, saltò fuori aprendo la portiera posteriore. “Veloce, aiutatemela a salire, per favore! Ospedale più vicino, Ponte Nuovo, correndo dove si può.” Elisabetta e Marco la adagiarono con delicatezza sul sedile posteriore.

Il viaggio fu un susseguirsi di strade buie, lampade stradali sfreccianti e brevi spiegazioni grattate tra i denti per il conducente sullo stato di Chiara. L’uomo guidava con una sicurezza impressionante, schivando le vie più bloccate serenamente, usando scorciatoie che solo un veterano dei vicoli fiorentini poteva conoscere. Parlava con calma, rassicurando la ragazza: “Resista signorina, dieci minuti al massimo. Respiri piano.” La tensione che aveva paralizzato Chiara cominciò ad allentarsi quando vide attraverso il finestrino il busto di Vespucci, segno che erano quasi all’ospedale. L’arrivo all’ingresso del Pronto Soccorso di Ponte Nuovo sembrò un miracolo di sincronizzazione; l’auto si fermò proprio davanti, il tassista era già sceso e parlava con gli infermieri usciti all’arrivo preannunciato per telefono. Passaggi rapidi: brancard, sguardi clinici, una breve spiegazione.

Quando si risvegliò dal breve torpore dell’intervento chirurgico – l’appendicite acuta era stata confermata e asportata per tempo – trovò Elisabetta e Marco che sorridevano nel piccolo spazio dell’ospedale. “Ce l’hai fatta, Chiara”, mormorò Elisabetta, stringendole la mano. “È andato benissimo il concorso? Mi hanno tagliato?” chiese, la voce ancora debole. Marco scoppiò a ridere. “Non hai recitato, sei stata autentica! Scherzi a parte, il giudice principale è venuto a chiedere di te, ha detto che la tua interpretazione ‘dolorosa’ è stata la più credibile della serata. Vuole conoscerti appena torni in piedi.” Chiara guardò il soffitto bianco, un sorriso radioso sul volto pallido. Il destino del concorso era incerto ancora, ma la sua salute era salva, e col sogno forse anche. “Quel tassista… dov’è? Quanto gli devo per la corsa?” Elisabetta scosse la testa. “Già fatto. Era già sparito, quieto e professionale come era venuto, dopo essersi assicurato fossi in mani sicure.” Chiara chiuse gli occhi, una profonda gratitudine nell’animo. Il servizio guaritore della città – quel Radio Taxi 24 disponibile giorno e notte – si era rivelato non solo il battistrada di un’ambulanza mancata, ma il vero salvatore della serata e forse della sua giovane carriera.

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