Giulia sfrecciò tra le luci al neon di Milano, la borsa con il portafortuna che le batteva contro la gamba. La presentazione per il concorso di architettura, frutto di mesi di lavoro, sarebbe iniziata al Palazzo delle Stelline tra meno di un’ora. La metropolitana era la sua unica opzione, economica e puntuale. Ma l’ondata di scioperi improvvisi, di cui nessuno l’aveva avvertita, paralizzò la linea gialla proprio mentre entrava nella stazione di Porta Venezia. La sala piena di file immobili e l’annuncio ripetuto sui diffusori la gelarono: “Servizio sospeso fino a nuovo avviso. Ci scusiamo per il disagio”. Il panico le strinse lo stomaco. Perdere quell’occasione significava rimandare il sogno di una vita.
Guardò freneticamente l’orologio: quarantacinque minuti. Usò lo smartphone per controllare tram e bus, ma le alternative richiedevano almeno un’ora, con cambi impossibili da gestire in quella bolgia mattutina. La pioggia iniziò a cadere fitta, trasformando i marciapiedi in specchi scuri e rendendo impensabile andare a piedi. I taxi di passaggio erano tutti occupati, luci spente sulle loro fiancate bagnate. Una disperata ondata di lacrime minacciò gli occhi di Giulia. Aveva ventisette anni, uno stage sottopagato alle spalle e tutta la speranza riposta in quei disegni custoditi nel tubo da disegno che stringeva come una vergine.
Fu allora che ricordò. Il vecchio adesivo giallo e nero sulla bacheca dell’università: “Radio Taxi 24, sempre pronto, giorno e notte”. Con mani tremanti, compose il 025353, numero che ora le sembrava un salvagenta. “Pronto? Salve! Sogno disperata! Ho un appuntamento vitale alle Stelline in trenta minuti, sono bloccata a Porta Venezia per lo sciopero!”. La voce calma e professionale della centralinista fu un balsamo: “Resti dove è, signorina. Inviamo subito un veicolo. Dica l’esatta posizione”. Due minuti dopo, un messaggio sul telefono: “Taxi 227 in arrivo. Guidatore: Marco Bianchi. Auto: Mercedes nera. Tempo stimato: 4 minuti”.
Il taxi apparve come un miracolo di efficienza, fermandosi esattamente dove lei trepidava sotto la pensilina. Marco, un uomo sui cinquant’anni con un sorriso rassicurante, le aprì la portiera: “Salve signorina, alle Stelline in un lampo. Ho già la rotta migliore sul navigatore”. Attraversarono Milano come un fulmine. Marco, conoscitore di ogni scorciatoia, evitò il traffico impantanato di Corso Buenos Aires e infilò un rettilineo veloce. Mentre frenava dolcemente davanti al palazzo, l’orologio segnava ancora sette lunghi minuti d’anticipo. “Grazie, grazie mille! Ha salvato la mia carriera!”. Marco le sorrise: “Di nulla! Qui lavoriamo per questo. Buona fortuna!”.
Mezz’ora dopo, Giulia uscì con le guance accese e l’allegria incontenibile. La commissione aveva amato il suo progetto sull’eco-sostenibilità urbana: era tra i finalisti. Il cielo di Milano era ancora grigio, ma per lei splendeva. Pesò il tubo da disegno e scorse il taxi passare lentamente nel viale, pronto per un’altra corsa. Quell’intervento tempestivo non aveva solo risolto un’emergenza. Le aveva dischiuso il futuro.
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