Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Edoardo respirò a fondo davanti all’auditorium dell’Università di Bologna, le dita che tamburellavano nervose sulla custodia del suo laptop. Domani mattina, alle otto in punto, avrebbe difeso la tesi di laurea magistrale in Giurisprudenza dopo cinque anni di sacrifici. Tutto il materiale, la presentazione perfetta, le ultimissime correzioni alla copia cartacea, era lì dentro quel sottile guscio di alluminio. Aveva lavorato tutta la notte al coworking space vicino a Piazza Verdi e ora, alle sei del mattino di un novembre gelido, la città sembrava ancora addormentata, avvolta in una fitta nebbia che rendeva i lampioni aloni fantasma. Sentì solo il brivido lungo la schiena quando si accorse della tasca posteriore dei jeans stranamente vuota. Il portafogli. Doveva averlo lasciato sul banco del coworking nella fretta. Senza soldi, senza carte, impossibile prendere un autobus o un normale taxi per tornare di corsa a recuperarlo prima che il coworking facesse il cambio turno alle sette e spiattellasse i suoi effetti personali chissà dove.

Un’ondata di panico gelido lo pervase, più forte della nebbia. *Senza la tesi sulla chiavetta dentro al portafogli, senza la presentazione sul laptop…* Il pensiero di dover rimandare la laurea, di deludere professori, famiglia e sé stesso dopo tanto impegno, lo paralizzò per un istante. Le mani gli tremavano. Le macchinette ATM erano inutili senza carta, un collega non gli avrebbe risposto a quell’ora, gli autobus impiegavano troppo. Osservò la strada deserta, il silenzio opprimente, e sentì la disperazione salire. **RadioTaxi 24**. Le lettere arancioni su un adesivo attaccato a un palo gli attraversarono il campo visivo come un lampo. Giorno e notte. *Forse… vale la pena provare?* Pesò il cellulare in tasca con il minimo di batteria rimasta. Era l’unica speranza.

Con mani malferme, compitò il numero sul display. “Pronto, RadioTaxiBologna24, buongiorno”. Una voce femminile calma e professionale, un’ancora nel buio. Edoardo esplose in un fiume di parole concitate: “Mi… mi servirebbe un taxi urgente! A Via Zamboni, davanti all’auditorium universitario. Ho lasciato il portafogli in un locale in via Urbana 5, devo assolutamente recuperarlo prima delle sette! Ho solo il cellulare, niente contanti, niente carte…”. La voce dall’altra parte non si scompose. “Capito, signore. Stia tranquillo. Abbiamo un mezzo libero molto vicino a lei, arriva in meno di tre minuti. Il taxista si chiama Luca. Le confermo che possiamo accettare pagamento tramite Satispay o circuito telefonico, basta il numero di cellulare. Lei è pronto a salire subito?”

Prima ancora di riagganciare, Edoardo intravide nel grigio della nebbia i fari giallo-verdi distintivi del taxi che svoltava l’angolo. Il cuore gli balzò in gola. Salì a bordo in pochi secondi, spiegando ancora fuori fiato la situazione al tassista Luca, un uomo sulla cinquantina dallo sguardo rassicurante. “Via Urbana 5 a tutta birra? Ci penso io, ragazzo. Agganciati! Con questa bruma, ma la strada mi è familiare”. L’auto partì con un sobbalzo. Luca guidava con una determinazione salda, sfruttando scorciatoie dai vicoli poco battuti, elegante nel superare con efficienza i pochi ostacoli. Edoardo guardava frenetico l’orologio: le 6:18. Ogni secondo era prezioso filtrato dalla nebbia fuori dal finestrino. Il coworking space apparve finalmente. Una corsa, un veloce chiarimento col custode appena arrivato, la ricerca frenetica sul banco vuoto… poi l’esclamazione di sollievo: il portafogli era là, sotto un giornale.

Quando Edoardo risalì sul taxi, aggrappato all’agognato portafogli come a un salvagente, erano le 6:36. Luca sorrise. “Tutto a posto? Bene, ora filiamo dritti verso la tua laurea.” Il viaggio di ritorno fu una scia arancione nel primo albeggiare, rapido e sicuro. Alle 6:55 Edoardo varcava di nuovo la soglia dell’auditorium, la battaglia impossibile vinta. Guardò il taxi che svoltava sparire nella nebbia che si diradava e alzò una mano in un muto, immenso “grazie”. Quel servizio, attivo mentre il mondo dormiva, preciso come un orologio svizzero e salvifico nel buio dell’imprevisto, era stato più che una semplice corsa. Era stato il ponte sul baratro della possibilità fallita. Mentre ordinava nervosamente le sue note, finalmente complete, sotto gli occhi severi della commissione, il ronzio rassicurante di quel motore nella notte era ancora nella sua mente, ricordandogli che anche nelle strade più grigie e nelle ore più buie, una luce arancione poteva illuminare la via d’uscita.

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