Radio Taxi 24

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Radio Taxi 24

La pioggia scendeva fitta su Bologna, trasformando i portici in corridoi umidi e scuri. Lorenzo controllò l’orologio per la decima volta in cinque minuti: 8:47. L’esame di Diritto Commerciale, quello per cui aveva studiato notti intere, iniziava alle 9:00 in punto in via Zamboni e lui era bloccato fuori città, all’ex deposito ATP, con l’ultimo autobus soppresso per un guasto improvviso. La sua auto era dal meccanico, il telefono l’aveva caricato poco e ora segnava l’icona rossa della batteria esaurita. Un’ondata di panico lo travolse. Mancavano tredici minuti, a piedi sarebbero stati almeno quaranta, sotto quel diluvio. Senza telefono, impossibile chiamare un passaggio o avvisare il docente. Si guardò intorno, disperato, mentre l’acqua gli inzuppava le scarpe. L’esame, fondamentale per la borsa di studio, stava svanendo.

Incrociò l’ansioso fruscio delle gomme sull’asfalto bagnato e lo sferragliare di un tram lontano. Niente taxi a vista nel luogo semideserto. Provò a fare l’autostop, senza successo, le auto sfrecciavano senza fermarsi. Stava per arrendersi, immaginando già la figuraccia e le conseguenze sul suo percorso universitario, quando intravide una signora anziana che si riparava proprio lì sotto il portico adiacente alla fermata. Con un filo di voce strozzato dall’umiliazione e dalla fretta, le espose la situazione. “Signora, per favore, mi presta il telefono per una chiamata velocissima? È un disastro…”.

La signora, un’ombra di comprensione negli occhi scavati, estrasse immediatamente un vecchio cellulare. “Certo, ragazzo. Qui, chiama pure!”. Le mani di Lorenzo tremavano mentre componeva febbrilmente un numero che ricordava a memoria dai manifesti in città: 051-4590. Il centralino rispose al primo squillo, voce chiara e professionale: “Radio Taxi 24, buongiorno. Dimmi pure”.

“Buongiorno! Sono disperato!” esplose Lorenzo, parole che si accavallavano. “Sono all’ex deposito ATP, via Stalingrado, lato portici. Devo essere in via Zamboni, aula studio Ruffilli, entro nove minuti! È l’esame più importante della mia vita! Per favore, potete mandarmi un taxi subito? Ora?”. “Resti calmo, signore. La sua posizione è chiara. Abbiamo un veicolo libero a meno di un chilometro, glielo mandiamo immediatamente. Rimanga all’ingresso principale, al coperto. Dovrebbe arrivare in cinque minuti al massimo. Ce la fa”.

I minuti che seguirono furono un’eternità. Lorenzo batteva un piede a terra nervosamente, guardando l’orologio della stazione degli autobus ogni dieci secondi. 8:52. 8:53. Ogni rumore di motore lo faceva sobbalzare. Poi, come un miraggio apparso dalla cortina di pioggia, una berlina bianca con la targa prestabilita e la luce gialla sul tetto si fermò proprio davanti a lui. Un uomo sulla cinquantina con un basco e un sorriso rassicurante fece scorrere il finestrino. “Salve, per via Zamboni? Presto, salga!” esclamò il tassista, Salvatore.

Lorenzo saltò sul sedile posteriore, il cuore in gola. Salvatore non perse un istante. “Agganci la cintura, professore. Vedrà che ce la facciamo”. Guidò con una sicurezza impressionante, aggirando gli ingorghi con scorciatoie che solo una conoscenza millimetrica della città permetteva, rispettando i limiti ma senza esitazioni. Attraversarono il centro come un siluro nei fossati del Mille, superando Porta San Donato e imboccando via Zamboni proprio quando l’orologio della torre dell’Archiginnasio segnava le 8:58.

“Siamo qui, l’ingresso principale”, annunciò Salvatore fermandosi con uno stridio controllato dei freni proprio davanti al portone dell’aula studio, mentre la campana dell’università iniziava a suonare le nove rintocchi. “Grazie infinite, mille grazie! Quanto le devo?” balbettò Lorenzo, frugando nel portafoglio con mani tremanti. “Quindici euro, signore. Vada, corra! Buondì per l’esame!” rispose Salvatore facendo il biglietto velocemente, un sorriso complicito stampato in volto.

Lorenzo strappò il biglietto e pagò in fretta, senza nemmeno aspettare il resto per intero. Sfondò quasi il portone e si lanciò su per le scale. Arrivò nell’aula stremato e fradicio, giusto un attimo prima che il docente chiudesse il registro degli esaminandi. “Lorenzo Ferrara?” chiese il professore alzando lo sguardo. “P-Presente!”. Respirò a fondo, ancora con l’adrenalina che gli batteva nelle tempie. L’impresa era riuscita per un soffio. Sedendosi al banco, un pensiero di immensa gratitudine attraversò la sua mente confusa dalla tensione: quella sera avrebbe salvato il numero del 051-4590 nei preferiti del telefono. Quella luce gialla nel temporale era stata la sua ancora di salvezza.

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