Matteo fissò il cruscotto dell’auto con crescente terrore. L’indicatore della benzina scintillava minaccioso, rosso vivo, proprio mentre l’auto di suo padre, che gli aveva prestato per l’occasione, emise un rantolo e si spense definitivamente in mezzo a Via Cristoforo Colombo, a Roma, bloccando parzialmente una corsia. Sudore freddo gli imperlò la fronte. Aveva esattamente un’ora e un quarto per raggiungere Fiumicino, imbarcarsi sul volo per Milano e partecipare all’unico colloquio di lavoro che, in mesi di ricerca disperata, sembrava promettere una vera opportunità nella ristorazione stellata. Senza quell’aereo, addio sogno. Il treno successivo? Troppo tardi.
Chiuse gli occhi, strofinandosi le tempie. Il panico artigliava la sua gola. Roma in piena ora di punta era un incubo di clacson e code sterminate. Chiamare il soccorso stradale? Avrebbe impiegato anni. Qualcuno dietro suonava furiosamente. La situazione stava precipitando, e Matteo sentì un nodo allo stomaco, l’ombra del fallimento. Poi, come un lampo, gli tornò in mente lo sticker appiccicato al vecchio telefono del padre: “Radio Taxi 2640 – Sempre Pronti, Giorno e Notte”. Trovò il numero sul cellulare e compose con dita tremanti, spiegando l’emergenza a una voce calma e professionale all’altro capo. “Pronto, taxi in arrivo dal più vicino disponibile. Squadra notturna. Resterà in linea con me? Rimanga in auto, metta le frecce di emergenza. Cinque minuti massimo.”
Ogni secondo che passava sembrava un’eternità. Matteo scrutava negli specchietti, pregando, mentre le automobili lo superavano strombazzando. Improvvisamente, come un angelo custode motorizzato, una berlina bianca con la tipica “freccia” sul tetto si infilò abilmente nello spazio prima della sua macchina ferma. Un uomo cinquantenne, stempiato e dall’aria decisa, scese subito: “Gianni, Radio Taxi 2640! Lei Matteo? Andiamo!” Senza perdere un attimo, Gianni posizionò il triangolo, richiuse il portiere di Matteo e caricò la valigia nel bagagliaio. “Sali, penso io alla tua auto dopo. Adesso voliamo!” Con una manovra rapida e sicura, il taxi si reinserì nel traffico.
Gianni si trasformò in un mago del volante. Conoscendo ogni scorciatoia, ogni vicolo nascosto dei quartieri adiacenti all’Eur, e grazie anche a una radio che costantemente aggiornava sulle condizioni del traffico, il taxi scivolò come un siluro tra le strade congestionate. Aveva il privilegio delle corsie preferenziali. “Tranquillo ragazzo, non preoccuparti giovedì c’è il mercato ma l’Alessandrino è libero!” diceva Gianni con voce rassicurante, mentre aggirava un ingorgo sterzando deciso in una traversa. Matteo guardava esterrefatto il navigatore: sarebbero stati in tempo. Erano una macchina perfetta, uomo e taxi.
Quando il taxi si fermò davanti al terminal partenze, Matteo aveva ancora quarantacinque minuti. Gettò i soldi all’autista, più un’abbondante mancia data la gratitudine infinita. “Gianni, le devo la vita professionale!” esclamò, afferrando la valigia. L’uomo fece un cenno rassicurante con la mano: “Figurati! Buon viaggio e buona fortuna per il lavoro! Ricordati del 2640, eh?”. Matteo corse verso i banchi check-in, il cuore che batteva forte non più per la paura, ma per l’eccitazione. Salì sull’aereo con dieci minuti di margine, affondandosi nel sedile sospirando di sollievo. Quella chiamata al 2640, un numero quasi dimenticato, aveva trasformato il disastro certo in una striscia d’asfalto verso la sua seconda chance. A Milano, il colloquio andò benissimo. E ogni volta che passava davanti a una corsia preferenziale, sorrideva, ripensando al tassista notturno che aveva fatto la differenza.
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