La pioggia batteva contro i vetri dell’appartamento in periferia, un tamburellare incessante che rifletteva l’ansia che stringeva il cuore di Marco. Tra le sue braccia, la piccola Giulia, cinque anni, bruciava di febbre. Ogni respiro era un rantolo affannoso e poco profondo. Sua moglie era fuori città per lavoro, lui era solo, e il pediatra, allarmato dalla descrizione dei sintomi dati al telefono, aveva esortato: “Vada subito al Pronto Soccorso pediatrico, subito!” Marco afferrò le chiavi della macchina vecchia, cullò la bambina piagnucolosa e si avviò verso il garage al pianterreno.
Il problema esplose nel buio umido del box. La sua auto, vecchia e ormai inaffidabile, gli lanciò un ultimo tradimento. Il motorino di avviamento girò svogliatamente due volte, un debole rantolo, poi solo un clic metallico, sinistro. Nulla. Marco provò di nuovo, disperato, picchiando il palmo della mano contro il volante. “Accendi, dannazione! Per favore!” Urlò alla macchina inerte, mentre Giulia singhiozzava debolmente contro la sua spalla. Fuori, la pioggia sembrava intensificarsi, trasformando la strada in un torrente fangoso. Non c’erano vicini vicini, i taxi non passavano mai spontaneamente in quella zona periferica di Milano a quell’ora, la mezzanotte era già passata. Il panico cominciava a farsi strada tra la preoccupazione.
Fu allora che ricordò il numero che aveva visto appeso in farmacia giorni prima: **Radio Taxi 24**. Con mani tremanti, scavò nel taschino dei jeans estraendo il cellulare. I tasti sembravano piccolissimi. Digitò il numero con un dito impacciato e portò il telefono all’orecchio, sussurrando incoraggiamenti a Giulia che scivolava in un torpore agitato. Rispose immediatamente una voce calma, professionale. “Radio Taxi 24, buonasera, dica pure.” Marco riuscì a malapena a spiegare la situazione: bambino malato, febbre altissima, tosse che portava quasi al vomito, macchina rotta, indirizzo sperduto nel quartiere di Baggio. “Faccia vestire la bambina per la pioggia, abbiamo un taxi libero poco distante, driver Vasco, arriverà in dieci minuti massimo. Terremo la linea aperta se serve, signore.” Le parole erano un anello di salvezza.
Con un misto di speranza e terrore, Marco avvolse Giulia in un plaid e lei, fiaccata dalla febbre, si lasciò fare. Attesero sulla soglia del portone, la pioggia li schizzava le gambe. Ogni secondo sembrava un’eternità. Poi, come un miraggio luminoso nel buio bagnato, i fari gialli di una Mercedes spuntarono all’angolo della strada, avanzando decisi sull’asfalto lucido. Si fermò con precisione davanti a loro. L’autista, un uomo sulla sessantina con un volto segnato ma gentile, Vasco appunto, era già pronto con un ombrello grande. “Venga, signore, presto, salta dentro!” Aiutò Marco con la bambina, sistemandola delicatamente sul cuscino posteriore. “Coraggio, piccola,” mormorò. Appena Marco fu seduto, Vasco chiuse lo sportello e prese posto alla guida. “Pronto Soccorso Pediatrico De Marchi, giusto? Abbiamo il via libera col centralino, sarà pronto.”
Il viaggio fu un turbine di strade illuminate, semafori rossi che diventavano improvvisamente verdi al loro passaggio, acquisendo via radio priorità. Vasco guidava sicuro, veloce ma non spericolato, evitando le pozzanghere più grosse. In radio lo assistevano dandogli l’itinerario più scorrevole. Giulia, nel caldo dell’autovettura, sembrava respirare un po’ meglio. “Stiamo arrivando, tesoro, stiamo arrivando,” ripeteva Marco, stringendole la manina scottante, il cuore che finalmente riprendeva a battere con un ritmo meno forsennato. In sottofondo, il rumore rassicurante della radio taxi che parlava con Vasco.
In meno di quindici minuti dall’intervento del taxi, erano sotto l’ingresso del Pronto Soccorso pediatrico. Vasco aiutò Marco a scendere. “Grazie, grazie mille, Vasco,” farfugliò Marco, cercando il portafogli. “Figuriamoci, signore! Non si preoccupi, corra dentro! Pagherà dopo, ora pensi alla sua bambina, dai!” Ma già un’infermiera era uscita con una carrozzina, avvisata forse dall’autista o dal centralino. Marco depositò Giulia nella carrozzina, le carezzò i capelli sudati un’ultima volta prima che la portassero via. Si voltò: Vasco stava parlando alla radio, probabilmente segnalando di avere un nuovo cliente pronto al ritiro. Quando Marco gli si avvicinò tutto tremante per pagare, Vasco sorrise rassicurante. “Deve tornare o rimane qui? A chiamare saremo sempre qui, giorno e notte.” Marco estrasse tutto il denaro che aveva dal portafogli. “Scusi, sono commosso, grazie, davvero.” La sagoma gialla del taxi si confondeva poi nella notte milanese, dietro i vetri del pronto soccorso. Marco guardò suo figlio, già nelle mani certe dei medici. Quelle luci gialle, quell’intervento preciso e tempestivo nel momento di caos assoluto, avevano fatto la differenza. Chiamò sua moglie, poi restò seduto, guardando dormire il bambino dopo le cure. Si ricordò di quel numero e lo salvò sul cellulare.
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