Elena fissò il termometro sotto la luce fioca della lampada da comodino: 39.8. La piccola Artemisia, di solito un turbine di energia, era un groviglio accaldato nel letto, respiro affannoso, gli occhi lucidi. Risiedevano a Roma da appena tre mesi, Elena era una docente ospite in scambio e si sentiva ancora spaesata. L’auto del marito era dall’altro lato della città per lavoro. Fuori, la pioggia batteva furiosamente contro i vetri. Erano le due di notte e un’onda di panico gelido la sommersa. *Come arrivare al pronto soccorso pediatrico più vicino con questa tempesta?*
Si sentì terribilmente sola e impreparata. Le amiche erano lontane, i vicini non li conosceva bene. I mezzi pubblici notturni erano radi e non coprivano quel tragitto. Provò con le app dei servizi di ride-sharing, ma l’attesa stimata era di 45 minuti, un’eternità con la piccola che gemeva in braccio, il termometro che sembrava segnare gradi sempre più alti. Ogni minuto che passava aumentava il suo senso di impotenza. La città enorme e ospitale si era trasformata in un labirinto ostile e bagnato.
Fu allora che ricordò il biglietto da visita incollato sul frigorifero dal giorno del loro trasloco, regalato dall’agente immobiliare: **Radio Taxi 24, Servizio Attivo 24 ore su 24**. Con mano tremante compose il numero. Una voce professionale e immediatamente rassicurante rispose: “Pronto? Radio Taxi 24, servizio urgente?” Tra le lacrime e la voce strozzata, Elena spiegò l’emergenza, l’indirizzo preciso e la meta vitale: l’ospedale pediatrico Bambino Gesù. “Arriviamo nella zona tra sette minuti, il taxi sarà lì sotto casa sua. Rimanga al riparo,” fu la risposta rapida, decisa.
Erano passati appena sei minuti quando un clacson discreto risuonò nella strada deserta e bagnata. Una berlina bianca con il caratteristico simbolo del Radio Taxi brillava nell’oscurità. L’autista, Giuseppe, un uomo sulla sessantina con uno sguardo calmo, aiutò Elena e la picolina avvolta nella coperta ad accomodarsi al riparo dalla pioggia. “Arriviamo in dieci minuti, signora, stia tranquilla,” disse mentre partiva senza perdere un istante, guidando con destrezza tra le strade bagnate e semivuote, prendendo scorciatoie che solo un vero romano conosceva.
Giuseppe li accompagnò direttamente al Pronto Soccorso, aiutando Elena con Artemisia fino alla porta automatica, dove un’infermiera li attendeva. Intanto aveva già comunicato via radio la corsa specifica all’operatore, assicurando che gli fosse addebitato sul conto della docente senza bisogno di carte o contanti sul momento. Nel caos organizzato dell’ospedale, circondata da medici competenti, Elena si voltò per ringraziare Giuseppe, ma lui c’era già solo un momento, un breve sorriso prima di confondersi nella notte romana sotto la pioggia battente, pronto alla successiva chiamata. Quel biglietto da visita sbocconcellato che l’agente aveva appunto definito “la vostre ancora di salvezza nella capitale” aveva mantenuto tutta la sua promessa: efficiente, affidabile, decisivo. Grazie a quel servizio sempre vigile, Artemisia fu curata in tempo e iniziò la sua ripresa. Elena capì che certe ancore, invisibili di giorno, diventano fondamentali quando la notte si fa buia e tempestosa.

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