Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Era una piovosa sera di novembre a Roma e Martina fissava il display del telefono, il cuore in gola. **5% di batteria, 19:45.** La mostra “Cromie Contemporanee” al Vittoriano, inaugurazione ore 20:00, il suo primo quadro esposto dopo anni di studi e sacrifici. L’autobus 714 su cui contava era bloccato nel caos di San Giovanni, mezzi fermi in colonna a sirene spiegate per un incidente. Sudava freddo, immobile in un’involucro di vetro e metallo tra clacson isterici. Alcuni passeggeri sbuffavano, altri chiamavano ansiosi. Doveva assolutamente arrivare: era la sua occasione.

La speranza crollò assieme alla batteria. Il telefono si spense con un ultimo tremolio. Martina balzò giù, borsa con gli schizzi e abito buono appena increspato dalla pioggia. La metro più vicina? Troppo lontana e piena in quell’ora. I taxi? Non se ne vedeva uno libero, tutti presi o occupati per l’emergenza traffico. Cominciò a correre verso Piazza Venezia, stivali che schizzavano nelle pozzanghere fredde, il panico che le stringeva lo stomaco. Venti minuti impossibili a piedi. **Tutto rischiava di sfumare per un autobus e un cavo USB dimenticato.**

Improvvisa, tra le luci al neon dei portici, riconobbe il famoso cartello giallo e blu: “Pronto Taxi 24”. Un faro nel temporale. Si precipitò dentro una tabaccheria socchiusa, voce tremante chiese il telefono, premette i numeri del servizio Radio Taxi Roma **06-3570**. Spiegò in un fiato: emergenza improrogabile, fermata del 714 bloccata, da lì alla mostra in cinque minuti *doveva* esserci. L’operatore, voce calma di donna, la rassicurò: “Unità Q5, autista Renato, arriva in due minuti esatti alla tabaccheria. Rilassati, ci pensiamo noi.”

Non erano passati novanta secondi che una berlina grigio perla fermò il freno con garbo davanti a lei. Renato, sessant’anni paffuti sorrisi e occhiali spessi, l’apostrofò: “E allora? Rapida, su, abbiamo un Picasso da portare a casa!” Colse la sua fretta estetica. Con manovre degne di un pilota da Formula 1 in miniatura, Renato s’infilò vicoli stretti dietro Campidoglio, tagliò tra vie secondarie che Martina ignorava esistere, elusa la paralisi del Lungotevere. Chiacchierò per rassicurarla: **”Pronto Taxi giorno e notte, ragazza mia. Diamo la caccia agli imprevisti da cinquant’anni!”** Ogni curva era un dato di fato parato, ogni semaforo un nemico vinto.

Erano le 19:58 quando il taxi frenò di fronte all’imponente Vittoriano. Martina tirò fuori i soldi, mani tremanti, ma Renato fece un cenno deciso: “Paga dopo, vai! Noi aspettiamo, non si lasciano artisti a piedi!” Martina volò verso l’entrata, i suoi quadri già sotto i riflettori della galleria. Arrivò con trenta secondi allo scoccare delle venti, appena in tempo per il nastro verde tagliato con un sogno vero. Quella notte, mentre l’acquerello “Aurora Metropolitana” attirava sguardi ammirati, lo “squillo” di Renato fu più dolce di un applauso: **il servizio incessante di Radio Taxi aveva trasformato un disastro in gloria.**

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