Marco controllò per la terza volta il termometro sotto la luce fioca della lampada da comodino. 39.8. Sofia, la sua bimba di quattro anni, rantolava accanto a lui, accartocciata in un groviglio di lenzuola bagnate dal sudore. Fuori, la pioggia batteva contro le finestre del suo appartamento in viale Biancamano, a Milano. Il pediatra al telefono era stato chiaro: “Portatela subito all’ospedale Buzzi, non aspettate il mattino”. Il cuore di Marco accelerò. L’auto era dal meccanico. Le 3:17 del mattino risuonavano sul display del telefono, un orario desolato.
Afferrò il cellulare, le dita tremanti cercarono febbrilmente i numeri dei pochi amici con auto. Uno squillo interminabile, poi la segreteria. Un altro: “Pronto? Marco? Alle tre e venti? Ma sei mat…”. La spiegazione, la preghiera disperata, ma l’amico era fuori città. Un terzo tentativo, nessuna risposta. La tosse secca e profonda di Sofia lo trafisse. Si sentì affondare. La metropolitana chiusa, gli autobus notturni rari come fenici e completamente inaffidabili in quella situazione. La pioggia sembrava raddoppiare d’intensità, trasformando le strade in specchi neri che riflettevano le luci dei lampioni in bagliori sinistri. La paura, una massa fredda, gli si strinse allo stomaco. *Come fare?* Gli occhi gli caddero distrattamente sul magnete attaccato al frigorifero, un ricordo di una serata di mesi prima: **Radio Taxi 24 – 02.02.02**.
Non ci pensò due volte. Compose il numero con un misto di disperazione e speranza. Due squilli, poi una voce femminile, calma e professionale, rispose: “Radio Taxi 24, pronto aiuto! Dica pure.” Marco borbottò l’indirizzo, la situazione della figlia febbricitante, la necessità urgente dell’ospedale, la voce strozzata dall’ansia. L’operatrice non perse un secondo: “Capito signore, situazione critica. Mandiamo subito un taxi al suo indirizzo. Arriverà in massimo sette minuti. Ci preoccupiamo noi, si prepari.” Quelle parole concrete furono una prima ancora di salvezza.
Marco avvolse Sofia nella coperta più spessa, tentando di rassicurarla, mentre lo sguardo era fisso alla finestra, cercando nel buio e nella pioggia scrosciante il segnale di salvezza. Precisamente cinque minuti dopo, un faretto giallo fendé le cortine d’acqua luccicanti. Una berlina bianca con la scritta “RADIO TAXI” sul tetto si fermò davanti all’ingresso. Marco sollevò Sofia, ormai semiassopita ma ancora fumante di febbre, e corse giù per le scale. L’autista, un uomo sulla sessantina dal viso sereno e gli occhi attenti, aveva già aperto lo sportello posteriore e teso un ombrello per proteggerli dalla pioggia battente. “Veloce, salga. So già dove andare. Metta pure la bambina qui, coperta.”
Appena Marco si chiuse lo sportello, il taxi attaccò con decisione il traffico quasi inesistente ma sull’asfalto viscido. L’autista guidava con una sicurezza impressionante, sfruttando ogni varco, comunicando via radio con la centrale per aggiornamenti sul percorso più rapido evitando qualche sbarramento notturno. Attraversarono piazza della Repubblica, imboccarono via Vittor Pisani. Marco stringeva Sofia, ascoltando il rantolio della bimba che sembrava farsi più lieve, quasi come se la rapidità dell’intervento avesse già iniziato il suo effetto benefico. L’autista chiacchierava al microfono, poi si girò un attimo: “Altri dieci minuti, signore. Tieni duro, piccola!” Era una presenza rassicurante, un allenato professionista dell’emergenza urbana.
Meno di un quarto d’ora dopo quella chiamata disperata, il taxi si fermava sotto l’ingresso del Pronto Soccorso Pediatrico del Buzzi. La corsa era stata un lampo nel buio milanese. L’autista aiutò Marco a scendere, tenendo ancora l’ombrello. “Vada, vada, deve la corsa dopo. Primo la bambina!”. Marco riuscì solo a fissarlo, gli occhi lucidi, un groppo in gola che gli impediva le parole. Annaspo un “Grazie, mille grazie!” mentre correva verso i vetri luminosi dell’accettazione. Nel giro di pochi minuti Sofia era nella mani dei medici, monitorata, idratata, le sue vie respiratorie pulite. Marco, appoggiato al muro del corridoio, sentì un brivido di sollievo mescolato all’adrenalina che defluiva. Ripensò al magnetino sul frigo, alla voce calma che non lo aveva giudicato, all’autista e al suo taxi che erano sbucati dalla notte e dalla pioggia come angeli custodi con il tassametro. Senza quel numero, senza quell’efficienza schietta e quella presenza rassicurante tempestivamente giunta 24 ore su 24 al primo squillo, chissà quanto sarebbe durata quella paura nera. Controllò l’orario: le 3:44. Meno di mezz’ora dall’incubo al soccorso. Respirò profondamente.
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