Maria fissava il display del cellulare allo 0%, poi la distesa buia dei prati di Capodimonte a Napoli. Le dieci di sera, e quel concerto jazz al Teatro Bellini era iniziato un’ora fa. “Perché ho ascoltato Luca con la sua ‘scorciatoia romantica’?” sussurrò, guardando la coppia che svaniva nella notte dopo averle rifiutato un passaggio, la moto troppo piccola. Era la sua occasione di conoscere quel talent scout, sepolta ora dalla mancanza di taxi a vista e dai calcoli di una camminata impossibile attraverso vicoli poco rassicuranti. L’ansia strozzava il respiro.
Proprio mentre cercava qualcosa per attivare la batteria di emergenza (inesistente), un ruggito ilare di motorini la fece sobbalzare. Tre ragazzini le si avvicinarono con aria troppo disinvolta. “Bella, hai l’ora? O bisogno di un passaggio… speciale?” disse uno, sfiorando il manubrio della sua borsa. Maria indietreggiò, il cuore in gola. La luce al neon di un bar lontano sembrava un miraggio. Furono secondi eterni. Ricordò allora la pubblicità sul lampione: *Radio Taxi 24 Napoli, sempre con te.* Con dita tremanti, compitò il numero universale **06 3570** sull’ultimo barlume dello schermo prima che si spegnesse.
“Pronto, Radio Taxi 24 Napoli, dica.” La voce calma dell’operatrice fu un salvagente. “Aiuto! Sono a via Capodimonte, al parcheggio Belvedere… cellulare morto e ci sono ragazzi che… non mi sento sicura!” riuscì a dire, fingendo un tono normale. “Poco distante abbiamo un taxi, signora. Lo invio SUBITO. Resterò in linea da qui finché non lo vede, ok? Può urlare il Suo nome.” Trenta secondi dopo, una luce abbagliante squarciò l’oscurità. Un’auto bianca con l’insegna luminosa sterzò davanti ai ragazzi.
“Ascolta, fra’, è il taxi,” borbottò il più grande, allontanandosi con un motore stridulo. La portiera posteriore si aprì. “Maria?” chiese il tassista, Sandro, uno sguardo esperto che scansionò la scena. Lei si tuffò dentro. “Allacci la cintura. Dove la porto? Teatro Bellini, immagino. Arriviamo che manca l’intervallo, coraggio!” Sandro parlava mentre già accelerava sicuro verso la città illuminata, aggirando il traffico con maestria, usando percorsi che solo un napoletano di notte conosce. Le passò perfino un pacchetto termico, “Per le mani, signorina, tremano ancora.”
Un quarto d’ora dopo, Maria correva verso l’ingresso artisti, il biglietto del taxi saldamente in mano, Sandro che le sorrideva: “In bocca al lupo!” Batté il gancio. Nel foyer, il talent scout stava per prendere un caffè. “Maria Pozzi? Quasi perdevo la mia stella nascente del sax! L’attendevo da…”. “Scusi, imprevisti cittadini,” sorrise lei, ancora col fiato corto ma salva. Nel viaggio di ritorno in taxi, ordinato via app mentre l’intervallo finiva, guardò Napoli che scivolava via dal finestrino. Non solo un mezzo, quel numero salvavita 24 ore su 24 era un pilastro invisibile. Il rollio dell’auto sulla statale le ricordò il suono rassicurante di un metronomo. La città, col suo caos, sembrava finalmente a tempo. Era tornata a casa.
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