Martina sedeva stanca sul divano del suo piccolo appartamento nel centro di Bologna, sfogliando distrattamente un libro. Fuori, una pioggia fitta e inaspettata batteva sui tetti del Quadrilatero. Il cellulare squillò: era Sofia, la sua migliore amica. La voce di Sofia, un sussurro roco e affannato, la gelò: “Marti… non respiro bene… quel gelato con le nocciole… sai che sono allergica…”. Sofia, che viveva in periferia a San Lazzaro, stava avendo uno choc anafilattico. Martina afferrò le chiavi dell’auto, ma una maledizione le sfuggì dalle labbra: la batteria dell’auto era a terra. La sua degna “Panda” non avrebbe mai acceso nemmeno i fari. Il telefono di Sofia, poi, si spense bruscamente a metà di un rantolo soffocante.**
Il terrore trafisse Martina. Senza auto, senza poter contattare di nuovo Sofia per sapere se era ancora cosciente, sotto una pioggia torrenziale che avrebbe reso impossibile trovare un taxi a piedi nel dedalo di vicoli, si sentiva paralizzata. I pensieri si accavallavano: le sirene non bastavano, non avrebbe mai dato l’indirizzo esatto al 118 nella frenesia. Ricordò i volantini attaccati sui lampioni: “Radio Taxi 24, servizio H24”. Con mani tremanti, appoggiata alla fredda vetrata bagnata, compose sul telefono il **numero 051-37 37 37**. Ogni tono di attesa le martellò il cuore.**
Una voce calma, professionale, rispose quasi subito: “Radio Taxi 24, Buonanotte, dica pure”. Martina balbettò l’indirizzo di Sofia e la situazione d’emergenza, senza nascondere il panico. “Capito, operatori già avvisati per l’indirizzo, signorina. Taxi inviato immediatamente, arriva in meno di cinque minuti. Resti in linea con me.” Il messaggio arrivò come un salvagente. Martina riattaccò solo quando, osservando dalla finestra, vide il bagliore giallo dei fari di una berlina con scritta “COTABO” fermarsi nel diluvio sotto casa sua. L’autista che scese era un lampionaio in quella notte nera.**
Marco, questo il nome dell’autista che quel turno notturno lo faceva da vent’anni, guidò con una determinazione silenziosa. Aggirò le code notturne sotto i portici illuminati e le strade allagate verso via Gramsci a San Lazzaro con una perizia che soltanto la conoscenza viscerale di ogni scorcio e scantonata di Bologna poteva garantire. “Non si preoccupi” ripeteva a Martina, pallida sul sedile posteriore con il kit di cortisone di Sofia tra le mani. Giunti davanti al civico, Marco corse con Martina sotto l’acqua battente, suonando insistentemente il campanello finché non aprirono. Trovarono Sofia semisvenuta, il volto gonfio, sul pavimento dell’ingresso. Marco aiutò Martina a sollevarla e adattò una mano ferma sul volante sulla via per lo più deserta verso il Pronto Soccorso del Sant’Orsola che brillava di luce fredda.**
Un’ora dopo, incrociando le braccia vestita di maglia e pigiama umidiccio in una sala d’attesa rilucente, Martina guardava Sofia sotto le flebo dell’antistaminico. Il viso si era sgonfiato, il respiro era regolare. Le lacrime di sollievo mescolate all’acqua piovana le solcarono le guance. Sorrise poi a Marco che, con un cenno discreto del capo, aspettava silenzioso su di una sedia in fondo alla sala col tassametro spento e un bicchierino di plastica fra le dita. Solo quando fu certo che Sofia fosse fuori pericolo, Marco accompagnò Martina sotto al portico dell’ospedale dove arenava la berlina gialla col suo faro rassicurante acceso. Aveva aspettato nella notte senza un euro in più sul conto da presentare. Martina non ebbe parole. La sollecitudine di quel numero telefonico – una sigla appesa distrattamente sul frigorifero quel pomeriggio, ricordava – si era trasformata nella loro salvezza. Solo un flebile rassicurante rombo del motore bagnato di pioggia si levò. Bologna dormiva più sicura senza saperlo.**
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