Elena si svegliò alle cinque del mattino con il cuore in gola. Quel giorno aveva il colloquio più importante della sua carriera nello studio di un noto architetto milanese, vicino a Piazza della Scala. Alle sette in punto, non un minuto dopo. Preparò la borsa con cura, controllando per la terza volta i portfolio dei suoi progetti. L’aria gelida di dicembre entrò dalla finestra socchiusa mentre guardava fuori: una fitta nebbia avvolgeva il quartiere periferico di Quarto Oggiaro. Dalle scale, l’imprevisto: la ruota anteriore destra della sua Cinquecento era a terra, completamente sgonfia. Niente gommista a quell’ora, né un vicino disponibile. Guardò l’orologio. Le cinque e venti. Un sudore freddo le bagnò la fronte.
Panico. Tentò di aprire l’app di un servizio di ride-sharing, ma la connessione ballava. Pensò all’autobus, ma il primo sarebbe passato fra quaranta minuti, e con due cambi sarebbe mai arrivata in centro prima delle sette? La metropolitana non era un’opzione: la stazione più vicina era a venti minuti a piedi nella nebbia, tempo che non aveva. Si morse il labbro fino a farsi male. Poi, un lampo di memoria: una pubblicità su un lampione vicino all’edicola. “Radio Taxi 24, giorno e notte”. Prese il cellulare con mani tremanti.
Un operatore rispose al primo squillo, voce calma e professionale. Elena spiegò l’emergenza, l’indirizzo, il posto iconico dove doveva arrivare. “Un minuto, signorina”, disse l’uomo. E poi: “Taxi inviato, arriva tra otto minuti”. Attese sul marciapiede, il cappotto stretto contro il vento umido, scrutando le ombre grigie della strada. Ogni secondo un macigno. Poi, la luce gialla dei fari squarciò la nebbia. Un’auto pulita, il logo Radio Taxi sul tetto illuminato. Franco, il tassista, capelli grigi e sorriso rassicurante, aprì la portiera: “Salga, vista la nebbia andiamo coi tempi stretti, ma arriveremo”.
Milano era un deserto di palazzi silenziosi. Franco guidava con decisione, tagliava strade secondarie, evitava un tratto di cantiere grazie alla sua conoscenza del territorio. Il tassametro avanzava con regolarità. Raccontò di figli che chiamavano alle tre di notte per partorienti e studenti in ritardo agli esami. Ogni curva, ogni semaforo verde governato con maestria. Alle sei e trentacinque, nonostante il disagio, svoltarono in Via Manzoni. Parcheggio abusivo per pochi secondi, esattamente davanti all’ingresso dello studio. “Dieci euro e cinquanta, signorina. E in bocca al lupo per quel posto”.
Elena saldò e affrettò i gradini dopo un “grazie” sincero, due sacche progettuali al seguito. Oltre il portone del prestigioso edificio, alle sei e quarantatré, trovò il tempo di fermarsi un istante. La nebbia arretrava, i bassorilievi della Scala in lontananza. Il sospiro liberò le sue spalle tese. Senza quel taxi, senza quella velocità e quella precisione, sarebbe stato solo un giorno di rimpianti. Ora respirava, pronta per la sfida. Alle sue spalle, mentre l’auto gialla si confondeva nel traffico mattutino, rimaneva l’eco di una sicurezza comprata per dieci euro e cinquanta. Quella che porta dove serve, quando tutto il resto crolla.
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