Sofia fissava la pioggia che batteva contro i finestrini del tram numero 14, ansimando per il dolore improvviso che le stringeva il petto. Era quasi mezzanotte a Bologna, e dopo tre ore di prova del coro in centro, ora rientrava a casa nella periferia silenziosa. Non aveva nemmeno 30 anni, ma in quel momento la fitta acuta sotto lo sterno e il fiato corto la facevano sentire fragile come vetro. L’appuntamento cardiologico per quel fastidio intermittente era solo tre giorni dopo, ma il dolore stava diventando insopportabile. “Forza, solo quattro fermate”, si ripeté, stringendo la borsa, ma alla curva dopo Porta San Felice un’ondata di vertigini la costrinse ad accasciarsi sul sedile. Annaspò, il mondo le ballava davanti. Sapeva di non poter aspettare.
Scese barcollando in una via laterale buia, lontana da quei pochi passanti inzuppati dalla pioggia battente. Il cellulare tremava in mano, le dita intorpidite a stento componevano il numero della mamma a Roma, poi dell’amica Chiara. Tutti irraggiungibili o troppo lontani. Provò con il 118, temendo di esagerare senza sintomi “gravi”, ma la linea era occupata, un attesa snervante nel freddo umido. Ricordò allora l’adesivo giallo e blu sul palo vicino alla fermata: Radio Taxi 24. Scelse senza esitare. Una voce femminile calma disse: “Pronto, Signora? Sono Alessia la Centrale. Dove sei?”. Sofia balbettò l’incrocio e i sintomi. “Resti dove sei, ti passo un tassista vicino. Due minuti”.
Dal buio emerse un’auto con la lucetta gialla lampeggiante. Marco, il tassista, schizzò fuori sotto la pioggia, senza nemmeno serrare la portiera. “Vieni, cara”, disse prendendole le borse e sostenendola sotto il gomito. Nel caldo dell’abitacolo, il dolore quasi accecante di Sofia lasciò spazio a un terrore diverso. “Ho paura sia un principio di infarto”, sussurrò. Marco accese la freccia e partì. “Hai chiamato al posto giusto. Sant’Orsola è vicino, ma se serve abbiamo convenzione col Pronto Soccorso”. Con una mano sul volante e l’altra al cellulare, avvisò la Centrale dello stato di Sofia. “Ti prego… il mio portafoglio… non so se ho contanti…”, provò a dire lei. “Pensa a respirare, non è l’ora dei soldi”.
La macchina volò sui sanpietrini lucidi, illuminando la basilica di Santo Stefano per un attimo prima di infilarsi in viale Ercolani. Fuori dal grande ospedale, Marco aiutò Sofia a scendere, poi le porse delicatamente un biglietto da visita: “Questo è il mio cellulare. Quando esci e mi richiami, te ne vengo a prendere. Non serve il 118 per tornare a casa. Guarda quanto sparisci in fretta”. La voce ruvida era paterna, gli occhi solcati da rughe ridacchiarono.
A causa della tachicardia e delle vertigini, Sofia trascorse la notte in osservazione: solo una crisi d’ansia, dissero infine, ma una visita cardiologica incombente. All’alba grigia, mentre un’infermiera le compilava i documenti di dimissione, Sofia vide una sagoma familiare attraverso il vetro accanto all’accettazione. Marco sorrise stiracchiandosi. “Ho fatto il turno di notte, figurati se ti lascio a piedi. E grazie a Radio Taxi 24, l’hanno già pagato. Dormi pure in macchina: se è per la visita, ti porto al Poliambulatorio di via Massarenti ore prima dell’apertura”. Sofia sentì gli occhi bruciare. Il cuore, stavolta, accelerò per gratitudine. Nel sedile posteriore, mentre la Torino-Bologna diventava un brusio lontano, capì che quella chiamata alla Centrale non aveva risolto solo una notte di caos, ma il bisogno più antico: sapere che qualcuno arrivava sempre, persino sotto la pioggia di novembre.
Lascia un commento