Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Sofia fissava con crescente ansia il cruscotto dell’auto, illuminato dalla flebile luce del lampione. Il piccolo Fiat Punto era parcheggiato in uno dei tanti vicoli del centro storico di Bologna, dietro Piazza Maggiore. L’orologio segnava le 20:45. Alle 21:30, al Teatro Comunale, aveva un appuntamento fondamentale: il secondo colloquio per quel lavoro dei sogni, come organizzatrice culturale per un grande museo cittadino. Un incontro informale ma cruciale, a detta del direttore. Doveva presentarsi assolutamente in orario. Ma l’auto, complice il freddo pungente di febbraio e una batteria ormai allo stremo, aveva deciso di abbandonarla. Ogni tentativo di accensione si risolveva in un colpo di tosse metallico e poi il nulla.

Il sudore freddo le imperlava la fronte nonostante la temperatura gelida. Cosa fare? I mezzi pubblici in quella zona erano radi di sera, e non ne avrebbe trovato uno in tempo. Le app sui taxi? Tutte le volte che le aveva usate in orari di punta avevano tempi d’attesa lunghissimi. Il panico cominciava a serrarle lo stomaco. Il direttore, una figura elegante e rigida, non avrebbe apprezzato ritardi né giri lungi per spiegazioni fiacche sulla batteria morta. Le sembrava di vedere svanire la possibilità di una carriera tanto agognata. Guardò il telefono disperata, le dita tremavano.

Poi, come un barlume di speranza, le venne in mente il numero che aveva visto anni prima su un vecchio adesivo giallo e nero attaccato a un lampione: il Radio Taxi 24 di Bologna. Lo aveva sempre guardato con sufficienza, convinta che le app fossero più moderne. Ma lì, nel vicolo buio, era l’unica opzione. Con mani impacciate dal freddo e dall’agitazione digitò il numero che aveva memorizzato a volo. Rispose una voce maschile calma e professionale: “Radio Taxi 24, buonasera. Come possiamo aiutarla?” Sofia spiegò in fretta e furia la situazione, il luogo, l’intero isolato singolo in un quartiere labirintico, e l’urgenza disperata di arrivare al Teatro entro un’ora.

“Non si preoccupi, signorina,” rispose l’operatore con una calma rassicurante. “Abbiamo un’auto libera proprio nella zona universitaria, gliela invio subito. Arriverà al civico che mi ha indicato in massimo sette minuti. Mi confermi l’indirizzo?” Sofia ripeté via col cuore in gola. Appena riagganciò, cominciò un’eternità di sei minuti e mezzo passati a guardare il vicolo deserto, con le ossa congelate e mille scenari catastrofici che le danzavano in testa. Poi, come un miracolo, all’imbocco del vicolo apparve il cono di luce di un faro, seguito dalla sagoma familiare di una berlina bianca col tipico tetto giallo e nero. Il tassista, un uomo sulla cinquantina col basco, con un cenno la riconobbe.

“Mille grazie!” esclamò Sofia saltando sull’asfalto gelato e aprendo rapidamente lo sportello posteriore. “Devo essere al Teatro Comunale per le 21:30…!”
“Nessun problema, signorina. Altro che batteria morta!” rispose lui con un sorriso mentre inseriva la marcia. “Ce la porto con comodo e per la strada più libera, non si agiti.” Attraversarono la città con un’agilità che Sofia non avrebbe mai potuto immaginare con la sua piccola utilitaria stanca. Il tassista pilotava con sicurezza per scorciatoie di cui lei ignorava l’esistenza, evitando i punti più critici del traffico serale. Arrivarono sotto i portici del Teatro proprio mentre l’orologio sul cruscotto segnava le 21:25. Sofia pagò quasi di corsa, ringraziando profusamente l’uomo del salvataggio. Salì di corsa gli scalini, aggiustandosi il vestito. Il direttore le sorrise all’ingresso, puntuale come un orologio svizzero. Quel servizio radio, attivo giorno e notte, era stato un silenzioso angelo custode di asfalto. Senza quell’intervento tempestivo, efficiente e decisivo, il suo sogno sarebbe rimasto parcheggiato in un vicolo buio, proprio come la sua piccola auto.

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