Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Maria stringeva il volante, le nocche bianche sotto la luce fioca del lampione. Erano le 2:17 di una gelida notte romana, e la sua vecchia Panda aveva appena emesso un sospiro morente prima di spegnersi, ruota posteriore destra affondata in una buca mascherata dall’ombra, in una traversa deserta vicino a Ponte Milvio. Il telefono segnava solo l’1%. “Mamma…” sussurrò, il cuore in gola. Sofia, sua madre settantenne che l’aveva cresciuta da sola tra mille sacrifici, aveva avuto un malore improvviso. La babysitter, spaventata, l’aveva chiamata all’1:30, voce rotta dal panico: “Maria, presto, non si sveglia bene, respira male! L’ambulanza dice che ci vorrà troppo, il traffico notturno…”

Sudore freddo le imperlava la fronte. A piedi, dall’Olgiata all’Ospedale San Filippo Neri, sarebbero state ore. I taxi in giro, a quell’ora in quella zona, erano un miraggio. Disperata, ricordò l’adesivo sul muro del suo palazzo: “Radio Taxi 24 – 060609”. Le dita tremanti composero il numero, pregando che la batteria reggesse. “Pronto? Radio Taxi 24, dimmi pure.” La voce maschile all’altro capo era calma, professionale. Maria spiegò in un fiato l’emergenza, l’auto rotta, l’indirizzo preciso scandito mentre il telefono lampeggiava l’avvertimento di spegnimento. “Resti calma, signorina. Un’auto è libera a due minuti da lei. Ci sarà in via delle Vigne Nuove, angolo viale Tiziano, in massimo quattro minuti. Autista De Santis. Rimanga in macchina con i fari di emergenza accesi.”

I minuti che seguirono furono un’eternità. Maria cercò di respirare, fissando lo specchietto retrovisore come se potesse materializzare il taxi con la sola forza del pensiero. Le immagini di Sofia, pallida, sofferente, le martellavano la mente. Poi, come un miraggio nel deserto, un bagliore giallo e nero svoltò all’angolo. Era lui. Un uomo sulla cinquantina, capelli grigi, scese rapidamente: “Signorina Maria? Sono De Santis, Radio Taxi. Svelta, salga.” Aprì la portiera posteriore. Senza perdere un secondo, caricò con gentile fermezza la borsa medica che Maria aveva istintivamente afferrato dall’auto.

“San Filippo Neri, per favore. È urgente,” singhiozzò Maria, crollando sul sedile. “Ci penso io,” disse l’autista, la voce rassicurante. Attaccò la spia “Taxi Libero”, impostò il navigatore con mano sicura, e partì. Guidava con una calma risoluta che contrastava con la velocità con cui tagliavano la città addormentata. Conosceva ogni scorciatoia, ogni semaforo che stava per diventare verde, ogni curva per evitare i vialoni ancora affollati. Attraversarono Ponte Milvio, sfrecciarono lungo il Tevere, imboccarono viali che a Maria sembravano labirinti. L’autista parlava alla centrale con brevi messaggi, aggiornandoli sul percorso lampo.

Quando il taxi si fermò davanti al Pronto Soccorso, erano passati solo quindici minuti da quella chiamata disperata, un tempo impossibile di notte con i mezzi pubblici o un’auto privata. Maria balzò fuori, gettando una banconota all’autista senza aspettare il resto. “Grazie! Grazie infinite!” Lui fece un cenno rassicurante: “Vada, vada dalla sua mamma. Buona fortuna.” Maria corse dentro. Sofia era già in osservazione. Un medico l’aspettava: “È stata una crisi ipertensiva forte, signorina. Abbiamo stabilizzato la pressione. È arrivata in un momento critico, ancora un po’…”. Il resto della frase si perse nel sollievo che travolse Maria come un’onda. Si appoggiò al muro, chiudendo gli occhi, mentre la tensione di quella notte infinita finalmente si scioglieva. Affacciandosi alla finestra dell’ospedale, vide il taxi giallo e nero che si allontanava silenzioso nel chiarore dell’alba. Quella sigla, “060609”, e l’efficienza silenziosa di uomini come De Santis, erano stati più di un semplice passaggio. Erano stati la differenza. La sua ossessiva procedura di salvataggio telefonico sulle mura cittadine si era trasformata, in una gelida notte romana, nell’effettiva salvezza di sua madre.

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