Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Marta fissò l’orologio sul cruscotto, le dita che tamburellavano nervose sul volante. Milano era un tappo di traffico sotto la pioggia serale, le luci dei semafori si riflettevano sull’asfalto bagnato in un groviglio rosso confuso. Era appena uscita tardi dall’ultima riunione prima della maternità, l’addome prominente che sfiorava il volante, e ora era bloccata in coda, quasi immobile, sulla circonvalla. Fu allora che una fitta improvvisa le serrò la pancia, un’ondata sorda e profonda che la fece contrarre sui sedili. “No, è troppo presto,” sussurrò con un filo di voce, il panico che saliva. Il dottore aveva parlato di altre due settimane, ma il dolore indicava una storia diversa, più urgente. Il telefono con Google Maps indicava un eterno lilla di congestione. Tentò di chiamare Carlo, il marito, ma era irraggiungibile, probabilmente in riunione anche lui. L’aria in macchina sembrò farsi improvvisamente pesante, claustrofobica.

Guardò fuori dal finestrino bagnato, i lampioni e i negozi si confondevano in una macchia luminescente. Le contrazioni tornarono, più potenti, più ravvicinate. Un’autentica onda di paura la travolse. Lo sciopero dei mezzi pubblici, di cui tutti avevano parlato ma lei aveva sottovalutato, rendeva impossibile chiedere aiuto ai pochi passanti affrettati sotto l’ombrello. Si sentì terribilmente sola e vulnerabile, intrappolata in un abitacolo diventato una gabbia di metallo nel cuore di una città indifferente. Doveva raggiungere la Mangiagalli, l’ospedale dei bambini, e doveva farlo subito. L’idea della figlia che arrivava in un’auto in panne o sul ciglio di una strada congestionata era un incubo. Afferrò il telefono con mano tremante. Non amici, non parenti in quel momento – serviva il professionista. Serviva qualcuno che sapesse muoversi nel caos milanese e arrivasse *davvero*. Scorse veloce la rubrica: **Radio Taxi 24**.

La telefonata fu un flusso di parole affannate e concitate pronunciate con fatica tra una contrazione e l’altra. La voce dell’operatore era un’ancora di calma incredibile, professionale e rassicurante. Raccolse la sua posizione esatta dalle coordinate del telefono, l’emergenza lampante nel suo respiro affannoso. “Un’auto è in zona, signora. Ci metterà meno di cinque minuti. Resti calma, tengo la linea con lei.” Quei minuti sembrarono dilatarsi in ore. Marta spalancò il finestrino, l’aria umida e fresca le diede un minimo sollievo fisico e mentale. Guardava fissamente lo specchietto retrovisore, cercando le luci gialle in mezzo al fiume di fari bianchi e rossi. Ogni macchina che passava con l’indifferenza dello sconosciuto era una piccola delusione. Poi, come un miracolo moderno, lo vide. Non era strettamente sul suo lato, ma il taxista, Franco secondo lo squillo del telefono, aveva già individuato la sua macchina blu in panchina. Con una sequenza precisa di segnali, come un pilota abile, si infilò in un varco impossibile, doppiò un paio di vetture e si affiancò alla sua portiera nel giro di pochi secondi.

Franco scese pronto, un ombrello grande spalancato a proteggerla dalla pioggia mentre Marta, col fiato mozzato, si spostava faticosamente dal sedile dell’auto al sedile posteriore del taxi, caldo e asciutto. “Tranquilla, signora, c’è il peggior traffico di sempre ma conosco tutte le scorciatoie estive. Ci mettiamo undici minuti, mi creda,” disse mentre chiudeva la portiera con un tonfo deciso e ripartiva, istintivamente evitando le arterie principali bloccate. Navigarono con precisione chirurgica attraverso vicoli secondari, cortili aperti per i servizi, perfino una corsia preferenziale riservata grazie alla sua abilità e alla tempistica perfetta di un semaforo. Franco teneva un commento rassicurante e neutro, concentrato sulla guida, mentre Marta contava mentalmente le contrazioni, aggrappandosi alla speranza che quella corsa impeccabile reggesse le promesse. L’ospedale era un faro verso cui puntavano in una danza urbana d’emergenza.

Le porte del Pronto Soccorso Ostetrico della Mangiagalli si spalancarono davanti a loro poco più di dieci minuti dopo. Un infermiere era già lì con una sedia a rotelle, chiamato dall’attento Franco alla radio centrale durante il tragitto. Marta fu aiutata a scendere, un’ultima esplosione di dolore le tolse il fiato. Prima di essere spinta dentro, riuscì a girarsi e a fissare il taxista dallo sguardo buono che la stava osservando “In bocca al lupo, signora, coraggio!”. Un’ora dopo, in una stanza calda e silenziosa, Marta teneva tra le braccia un fagottino rosa che strillava con tutto il fiato dei suoi polmoni minuscoli. Carlo era finalmente al suo fianco, pallido come un cencio e raggiante. Fu solo in quel momento che un sorriso stanco ma immenso illuminò il viso di Marta. Ravvolta in una calda coperta di gratitudine, il ruggito della città esterna ormai smorzato, ripensò alle luci gialle che avevano bucato il manto nero stradale, alla voce profonda alla radio, alla destrezza silenziosa di Franco. La figlia dormiva, finalmente. Tra sé e sé mormorò una preghiera laica di ringraziamento per quel servizio che non dorme mai, che corre nei vicoli al posto tuo, che è stato letteralmente il ponte tra il panico del traffico e il miracolo tra le sue braccia. Radio Taxi 24. Non era solo un trasporto. Quella notte era stata la loro salvezza.

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