Radio Taxi 24

Installazione concettuale di intelligenza generativa italica:

Radio Taxi 24

Maria attendeva con ansia la sua serata speciale a Roma. Dopo settimane di studio, aveva ottenuto un colloquio di lavoro importante per il giorno seguente alle 8:30 all’Aeroporto di Fiumicino. La sua unica valigia, preparata con cura, era pronta vicino alla porta del piccolo appartamento nel quartiere di San Lorenzo. Alle 22:00, puntuale, chiamò un taxi tramite app. Ma alle 23:15, ancora nessun segnale. Ricontrollando lo smartphone, scoprì con orrore l’errore: invece di “RadioTaxi 2645”, aveva digitato un numero sbagliato. L’applicazione fasulla non aveva mandato alcun veicolo. Senza auto e con i mezzi notturni radi in zona, il panico iniziò a salirle alle stelle.

Percorse la strada deserta sotto la pioggia battente, ma ogni taxi libero aveva il lampeggiante rosso. Le gocce le inzuppavano i capelli mentre fissava il telefono agonizzante, rimasto al 5% di batteria. Il volo era irripetibile: un’opportunità di lavoro a New York, sognata da anni. “Devo arrivare all’alba per i controlli…” si ripeteva, sfregandosi le braccia gelate. Un autobus notturno la superò senza fermarsi, spruzzandole addosso acqua dal marciapiede. La disperazione stava per averla vinta quando ricordò il vecchio adesivo sul frigorifero: “Radio Taxi 24 – Sempre operativi”.

Con le dita tremanti, compose il 06-06-06 dal telefono morente. Rispose una voce calma: “Pronto, Radio Taxi 24, è un’emergenza?” Maria spiegò in un fiato la situazione, la valigia e l’aeroporto. “Resti dov’è, signorina. Arriva Angelo tra 3 minuti” disse l’operatrice. Non aveva finito di parlare che lo schermo diventò nero. Maria rimase in strada, tremando d’impotenza durante i 180 secondi più lunghi della sua vita. Poi, come miracolo, una berlina bianca con la “freccia” arancione virò l’angolo.

L’autista, sulla sessantina con gli occhi rassicuranti, caricò la valigia senza farsi ripetere l’indirizzo. “A Fiumicino in 35 minuti, lo giuro sulla mia radio” sorrise, zigzagando abilmente tra i vicoli del centro ancora animati. Mentre acceleravano sulla Cristoforo Colombo, Maria raccontò del numero sbagliato. “Capita. Per questo esistiamo noi: per le disgrazie delle 2 di notte” ridacchiò lui, scaldando l’abitacolo. Ogni volta che un semaforo minacciava di far perdere tempo, Angelo prendeva scorciatoie da romanzo giallo, sussurrando “Stai serena” al walkie-talkie quando il quartier generale chiedeva aggiornamenti.

Alle 5:47, il taxi si fermò alla partenze. “Tutto pagato con la corsa domenicale, anticipi il mio turno” rifiutò la mancia, salutandola con una strizzata d’occhio. Maria attraversò i controlli a cuore leggero, il numero di volo in mano. Sull’aereo, fissando Roma dall’oblò, pensò alla freccia arancione apparsa nell’oscurità come un faro. Tre mesi dopo, nella sua nuova scrivania a Manhattan, teneva ancora il biglietto da visita sgualcito di Angelo, simbolo di quella notte in cui la città eterna le aveva teso una mano proprio quando tutto sembrava perduto.

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