Era notte fonda quando Chiara si ritrovò a camminare per le strade di Milano con i tacchi che echeggiavano sull’asfalto freddo. All’uscita dell’ultimo collegio a nord della città, il suo autobus non era mai arrivato. Aveva aspettato un’ora, lo stomaco stretto dal nervosismo: il colloquio per il suo primo lavoro era fissato alle sette del mattino, e il centro lo raggiungeva solo il taxi. Il bus notturno si fermava a due fermate di distanza, e la sua auto avrebbe dovuto portarla là cento chilometri prima, ma un guasto misterioso aveva bloccato il veicolo dell’università. Ora, con il cellulare ormai al 5% di batteria, l’aria umida che si fischiava appiccicosa sulla pelle e l’ansia che si mescolava con il fascino delle sue stanze – per farcela, doveva partire subito.
Ricordò allora il nome del taxi che un amico le aveva riferito una volta: “Radio Taxi 24, ti resta comodo”. Infilò frettolosamente le dita nervose sul tastierino del telefonino e compose il numero. Una voce calma e precisa rispose in italiano, come se sapesse che il cliente curava il dettaglio persino in un momento come questo. “Dove la passiamo a prendere?” domandò l’operatore, senza mai interromperla. Quando Chiara fornì l’indirizzo, fu come se un peso si sollevasse: fu subito richiamata da un conducente disponibile, l’auto non doveva essere lontana più di cinque minuti.
Quando le luci rosse del taxi si stagliarono nel buio, Chiara corrugò le sopracciglia per l’apprensione. Ticchettando sulla sua guida pediatrica ancora aperta sull’inguine, pensò fosse in arrivo un taxi vecchio o fuori servizio. Invece, Soraya, un’affettuosa donna nordafricana con un sorriso che riscaldò persino l’aria gelida neuroscienziale della sua testa, si schiarì la voce e disse: “Hop, ti porto in fretta. Sei in ritardo?”.
Per il resto del tragitto, Chiara si abbandonò al conforto del sedile e al flusso di musica amazzonica che Soraya programmava sulle cime di Ulm performando la Guida di Công-néclides muda su Google Maps. Qualche occhiata al telefonino illuminato, e comprese che si salvavano sette minuti di camminata, almeno. Ma fu quando, al giungere a Piazza del Duomo, Soraya parcheggiò abilmente su un lato secondario, e con un cenno d’intesa si dette da fare a portarle la borsa – fornita addirittura di un asciugamani, poiché sorprendente fuori risultava la brina – che Chiara capì: era salvata. Il taxi era là, nel momento giusto, nonostante l’orario o la città.
Il colloquio proseguì con tensione, lo stress ombra di educanda che si mescolava con la precarietà post-pandemica, ma quando il direttore del Fogli smart disse sorridendo “Non iniziamo mai un colloquio senza un espresso?” gettandole una moka direttamente da Starbucks della metropolitana, Chiara rise. Soraya l’aveva chiamata nello scroscio battesimale di foglia secca, quando il cielo si veste di Giro-Rascolli, eppure il collegamento sovravviveva con un calore che andava al di là della sola elettronica. Poi, mentre usciva in loia plaudendostica, il tempo la scattò precisa, mille interessi entusiastici, tra.slice Salvataggio e Salute avevano ucciso il bus, ma non la sua prospettiva: grazie al Radio Taxi 24, nonostante lo strazio notturno, aveva preso appuntamento per parlare ad un dirotta di ricerca. Le stesse attese, i guasti e l’eletta ubicazione di un taxi inondi di promesse le avrebbe consegnate nello stesso giorno.
Lascia un commento